Clandestina, in nero, con passaporto falso: per il Consiglio di Stato può essere regolarizzata, battuta la Provincia che si opponeva
Clandestina, lavoro nero, passaporto falso: per colpa di questi tre macigni una donna nigeriana si era vista respingere la possibilità di emergere dal sommerso e rifarsi una vita in Vallagarina. Arrivata in Italia di nascosto, si era fatta spedire il passaporto dalla Nigeria e quindi aveva chiesto il permesso di soggiorno per ragioni sanitarie. Soffriva infatti di una patologia non curabile nel suo Paese d’origine e, per la legge, è un motivo valido per ottenere l’ospitalità nello Stivale.
Di stare con le mani in mano, però, non ne voleva sapere e quindi si era messa in cerca di un’occupazione per poter sbarcare il lunario. E così aveva trovato un mestiere e il suo principale, grazie alla legge sulle regolarizzazioni della manodopera, per mettersi in regola aveva presentato domanda di emersione dal lavoro nero ma la Provincia, basandosi su un parere negativo della Questura di Trento, aveva negato l’autorizzazione.
L’imprenditore lagarino, dopo aver chiesto una spiegazione al diniego («la lavoratrice non è nelle condizioni di essere ammessa alla regolarizzazione», la «sentenza» lapidaria), aveva però contestato la mancanza di motivazione e si era rivolto al presidente della Repubblica che, per competenza, aveva girato la questione al Tar. Dove, per altro, aveva ottenuto ragione.
In piazza Dante non l’hanno certo presa bene e senza pensarci due volte hanno impugnato la sentenza al consiglio di Stato. Anche i giudici amministrativi di secondo grado, però, hanno dato torto alla Provincia salvando la lavoratrice nigeriana che, finalmente, potrà essere messa in regola a vivere la propria vita in serenità.
La prima contestazione mossa dal ricorrente, d’altro canto, è stata proprio quella di aver riportato nella motivazione negativa solo il parere della Questura. Tanto più che faceva leva su un patteggiamento in tribunale dell’immigrata per il possesso di un passaporto falso. Proprio il documento che si era fatta spedire dalla Nigeria e che, a sua insaputa, non era valido.
«Questa circostanza per cui il codice di procedura penale consente l’arresto facoltativo in flagranza - si legge in sentenza - non determina più l’automatica reiezione dell’istanza di emersione dal lavoro irregolare in quanto, a seguito di una sentenza della corte costituzionale, è a tal fine necessario che l’amministrazione accerti che l’istante rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato».
Insomma, il Consiglio di Stato, in merito al ricorso della Provincia, sottolinea «l’illegittimità sostanziale del provvedimento impugnato, emesso in assenza di una specifica e congrua motivazione circa la sussistenza di una minaccia pubblica il che è già di per sé sufficiente a comportare la reiezione del gravame».
I magistrati amministrativi, dunque, hanno dato ragione all’imprenditore su tutti i fronti ricordando agli enti pubblici che è sempre necessario motivare una decisione per consentire un’eventuale difesa al cittadino.