Finisce davanti al giudice per la musica troppo alta: le minacce di morte al vicino gli costano 2.600 euro
Il lockdown e gli sfoghi domestici hanno rovinato i rapporti tra dirimpettai. Alla fine la lite ha portato i vari protagonisti della vicenda in tribunale
ROVERETO. L'effetto del lockdown imposto dal contenimento del contagio da Covid-19 è stato duro. E, spesso e volentieri, ha esacerbato gli animi tanto da arrivare all'odio viscerale tra vicini di casa un attimo dopo aver cantato tutti assieme alla finestra e aver affisso cartelli con scritto «Ce la faremo». Ma l'animo umano è questo e restare chiusi tra le mura domestiche può creare guai.
Ne sanno qualcosa due dirimpettai, costretti per ragioni diverse a fare i conti con l'esigenza di sfogarsi. Specie per uno dei due che, di quando in quando, si diletta ad ascoltare musica a tutto volume. Ovviamente, disturbando il concittadino che, a più riprese, l'ha richiamato all'ordine invocando la sua esigenza di riposo. Per tutta risposta è sempre stato travolto da minacce di morte «lanciate» proprio dalla finestra. Un bel giorno, all'ora di pranzo (le 13.30), per l'ennesima volta la radio sputava canzoni a decibel insopportabili. Tanto da far scendere in strada l'ascoltatore forzato e insistere con il vicino di abbassare il sonoro.
Anche in questo caso - come, parte, in decine di altre occasioni - la replica del dj improvvisato è stata lapidaria: «Vaffa...! Se vengo giù ti ammazzo... Aspettami che scendo». É stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso tanto da convincere il contendente con l'udito infastidito (quel giorno in presenza di testimoni) a denunciare il dirimpettaio e trascinarlo a processo davanti al giudice di pace chiedendone la condanna per minacce e pure un risarcimento danni di mille euro.
Al termine dell'udienza, il magistrato onorario ha ravvisato la colpevolezza del musicofilo e l'ha condannato a 400 euro di multa, ad altrettanti di ristoro per la parte lesa e 1.800 euro di spese legali per la costituzione di parte civile. In totale, in somma, 2.600 euro per quella minaccia figlia dei rapporti deteriorati. Il giudice Marcello Mancini, in sentenza, ricorda che «per la giurisprudenza non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo sufficiente che la condotta posta in essere dall'agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo. Il reato di minaccia è reato di pericolo che non presuppone infatti la concreta intimidazione della persona offesa ma solo la comprovata idoneità della condotta ad intimidirla».
La difesa ha comunque contestato di aver ammesso come testimonianza valida il resoconto della persona offesa. Il giudice ha però ricordato la presa di posizione della suprema corte: «Con riferimento allo spessore della prova offerta dall'accusa, testimonianza della persona offesa, si ricorda che la deposizione è soggetta ad una valutazione di attendibilità intrinseca ed estrinseca del teste. Ma una volta che il giudice l'abbia motivatamente ritenuta veritiera, essa costituisce prova diretta del fatto e non mero indizio. La deposizione testimoniale appare coerente e senza tentennamenti idonei a istillare dubbi sull'accaduto e sulle modalità dell'accaduto. Ad un tanto si aggiunga la deposizione inequivocabile della teste che ha assistito alla scena».