Sorpreso a rubare in un monastero tre stecche di sigarette e 20 euro: tre anni di galera
Nulla da fare per il giovane ladruncolo roveretano fermato dai frati dopo il furto. Per i giudici non c’è “lieve entità”
VALLAGARINA. Quanto valgono tre stecche di sigarette? In termini di pena inflitta da un tribunale tantissimo, molto più delle cifre stabilite dalle manifatture tabacchi che le producono e dalle accise imposte dal Monopolio di Stato. Rubarle, infatti, comporta 2,8 anni di carcere e 640 euro di multa. Tanta roba, insomma, anche se il valore commerciale è di circa (in questo caso specifico almeno) 150 euro. E non serve nemmeno risarcire il danno perché la giustizia comunque non perdona.
É quanto ha scoperto sulla propria pelle F. K., roveretano di 29 anni, sorpreso in un convento ad arraffare qualcosa di buono da spendere: il bottino finale, per capirci, è stato di due banconote da 20 euro e, appunto, tre stecche di «bionde». Un furto, attenzione, scoperto praticamente subito che ha consentito quindi alle forze dell'ordine di procedere con la denuncia e il conseguente processo.
E in tribunale prima e in corte d'appello dopo non sono certo stati teneri con il mariuolo «vizioso» che è stato bastonato con «cura». Ovviamente il suo avvocato ha impugnato la sentenza di secondo grado in cassazione per cercare di limare quella pena, a suo dire, spropositata vista l'entità del grisbì. Per gli «ermellini», però, la condanna deve considerarsi congrua in virtù dei numerosi precedenti per reati contro il patrimonio dell'imputato ma, soprattutto, perché l'entità del bottino (190 euro in tutto) non è affatto da considerarsi lieve.
E qui entra in ballo la società moderna che, archiviati gli anni del boom economico e del portafoglio allegro, ha capito che anche se non si tratta di milioni di euro questi soldi - ragionando su una famiglia media - sono tanti. E poco importa che nel metaforico sacco del ladro ci fossero anche stecche di sigarette - bene tutt'altro che necessario - ma si tratta comunque di un ammanco ritenuto importante. Di qui, quindi, nessuna concessione a sconti di pena.
Per la difesa, invece, ci sarebbero stati un'erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in relazione alla circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, «non avendo considerato la sentenza impugnata che i beni sottratti non avevano alcun valore affettivo né erano necessari alle persone offese, senza per altro considerare l'intrinseca natura della refurtiva» (stecche di sigarette, come detto).
Dello stesso avviso, per altro, è stata la pubblica accusa che ha chiesto di cassare con rinvio la sentenza. Per i giudici di terzo grado, però, il ricorso è inammissibile. «La corte di appello - si legge in sentenza - ha richiamato il valore complessivo della refurtiva, pari a 190 euro, sicché, all'evidenza, non si è in presenza di un pregiudizio cagionato lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, il che rende ragione della manifesta infondatezza della doglianza».
A questo, ovviamente, vanno aggiunti i numerosissimi precedenti penali che mettono in luce «la progressione criminale dimostrata dall'imputato in relazione alla natura e al tempo dei precedenti di cui è gravato, sintomatici di una maggiore pericolosità».
Nulla da fare, quindi, per il giovane ladruncolo che, come detto, è stato bastonato per arraffato - in un luogo sacro quale è il convento - due banconote e soprattutto la scorta di «bionde» buone tanto per criminali che per frati in meditazione. Merce che i giudici ritengono comunque di valore e non quindi una bravata.