In città il 16% degli oltre 40 mila residenti non ha da mangiare: salvati da volontari e donazioni
La fotografia che arriva dalle organizzazioni che si occupano di povertà fa paura e l'80% dei 6.200 roveretani in difficoltà serie è rappresentato da persone sconosciute ai servizi sociali. Tonnellate di viveri distribuite a chi non ce la fa, 450 famiglie seguite dalle associazioni
ROVERETO. Il cibo, prima di tutto, ma anche la casa e le bollette che schizzano portando via anche i pochi spiccioli che un tempo bucavano le tasche dei calzoni ed ora sono uno scoglio a cui attaccarsi per non finire alla deriva.
La fotografia che arriva dalle associazioni che si occupano di povertà fa paura. Perché sono sempre di più quelli che annaspano in una società che all'esterno appare come opulenta ma che ospita invece buchi neri che spesso sono voragini. Partendo dal piatto vuoto e dallo stomaco che rimbomba in maniera preoccupante.I dati, d'altro canto, parlano chiaro: anche a Rovereto i poveri sono tanti, troppi.
Il 16% dei 40 mila e rotti residenti non ha da mangiare, non tutti i giorni almeno. E l'80% di questi 6.200 roveretani è gente sconosciuta ai servizi sociali. Attenzione: non si tratta di fantasmi ma di vittime della pandemia e della crisi non già dal punto di vista sanitario ma economico. Parliamo di partite Iva, di lavoratori licenziati, di piccoli imprenditori ridotti sul lastrico o anche solo di operai con famiglia a carico. Questi numeri fanno impressione e sono anche il lascito sociale del Coronavirus. E in proporzione si tratta del doppio esatto dei poveri di tutta Italia.
Nel resto del Paese, gli indigenti sono 5 milioni, l'8,4%. Un campanello d'allarme che assomiglia più a una sirena antincendio e che certifica una vera e propria emergenza. Insomma, quello che un tempo si chiamava il ricco Nordest produttivo è andato a quel paese. Ed è un segnale che non può certo essere ignorato.A Rovereto, ma anche nel resto del Trentino, per fortuna la comunità c'è, resiste e lotta. In silenzio, senza proclami ma capace di tenere attaccata, ancorché con lo scotch, la società.In città, il peso di tenere a galla il nostro mondo è soprattutto sulle spalle di cinque associazioni di volontariato: Rovereto Solidale, Almac, Caritas, Fondo decanale e Croce rossa. Che lunedì sera si sono incontrate nel convento dei frati in Santa Caterina per fare il punto della situazione.
Tutta gente che ci mette il proprio tempo libero e fa i salti mortali per salvare il salvabile. E che, attenzione, viene aiutata dagli stessi cittadini, dalle aziende, dalla società civile più che dall'ente pubblico. Un automutuoaiuto concreto e non inquadrato che sta evitando disastri colossali.I problemi, però, ci sono e mordono con voracità da savana. E non riguardano solo la «pancia» ma anche altre emergenze quali l'abitazione e il disagio psichico che si perde molto spesso nelle sabbie mobili del gioco d'azzardo.
Insomma, c'è una parte consistente della società lagarina che sta andando allo sbando ma, per contro, tanti volontari che a titolo gratuito e con il sostegno di chi può cercano di salvare capra e cavoli.Parlando di cibo, però, fanno impressione le duemila tonnellate all'anno che vengono distribuite.
E nemmeno a tutti visto che tra gli affamati del primo mondo ci sono anche operai con prole che non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena. E per loro non c'è il pacco alimentare perché si vergognano a tendere la mano. Per questo servirebbe un emporio solidale che, però, non è mai decollato.
«I tempi non sono ancora maturi. - conferma l'assessore alle politiche sociali Mauro Previdi - E poi c'è una rete di volontariato sul territorio che funziona benissimo e sono convinto che non debba esserci un posto dove si fa carità. Chiaro, però, che dobbiamo ascoltare chi non ha voce».Intanto il mondo va avanti e la gente «normale» si rimbocca le maniche per trasformare i fantasmi in esseri umani. E ci pensano anche i giovani. Specie al convento dei frati di Santa Caterina. «Sono una cinquantina quelli che vengono qui per aiutare gli altri a fare i compiti. - spiega padre Gianni Landini - E sono di tutte le etnie, anche ragazze musulmane che insegnano alle donne profughe. Perché Dio, in fin dei conti, è un Dio di tutti».