Gasolio «impuro», azienda condannata: pieno risarcito e fattura del meccanico da ristorare
Il carburante era annacquato e la macchina dopo venti chilometri si è fermata. Il conto dell’officina, per il malcapitato consumatore, è stato di 2.500 euro. Il giudice ha dato ragione all’utente
ROVERETO. Ha fatto gasolio al distributore ma poi la macchina ha cominciato a fare le bizze. Lì per lì la donna non ci ha fatto molto caso ma un paio di giorni dopo il marito ha riempito il serbatoio alla stessa area di servizio e l'automobile ha iniziato a «tossire» prima di fermarsi definitivamente. Tanto che, arrivato ad Ala da Rovereto, è stato costretto a chiamare il carroattrezzi e portare la vettura in officina. Il blocco del motore, si è scoperto, è stato determinato da carburante impuro, probabilmente diesel «macchiato» d'acqua.
E così il meccanico ha smontato e ripulito il motore restituendo il veicolo ai legittimi proprietari. Con allegato, però, un conto da 2.500 euro. Troppo per non arrabbiarsi con il benzinaio al quale, ovviamente, è stato chiesto il ristoro. Lui, l'addetto alla stazione di rifornimento, in verità non c'entra nulla tanto che il reclamo l'ha girato alla compagnia petrolifera. Che di risarcire gli automobilisti non ne aveva voglia e quindi si è trovata trascinata davanti al giudice di pace convinta, essendo un colosso dell'oro nero, di farla franca.
Puntando soprattutto sulla richiesta danni presentata oltre gli otto giorni stabiliti per il reclamo dal codice dei consumatori. Il giudice Paola Facchini, però, ha dato ragione al guidatore ristorando in pieno il danno. Anche perché in udienza sono sfilati cinque testimoni, altri automobilisti che hanno avuto problemi con il gasolio. Si sta parlando dell'estate 2020 e, evidentemente, le cisterne del distributore non erano messe bene (nel frattempo sono state sistemate).
La conferma del «disguido», d'altro canto, arriva dallo stesso benzinaio. Certo, i sensori avrebbero dovuto segnalare impurità nel carburante ma qualcosa, evidentemente, è andato storto. La difesa della multinazionale, ovviamente, ha puntato molto sull'assenza di prove ma, per contro, il giudice le prove le ha ritenute valide.
“La dimostrazione di fatti ben determinati precisi quali luogo e data dell'ultimo rifornimento, il blocco del mezzo dopo aver percorso circa 20 chilometri dal luogo del rifornimento, la necessità di sostituzione degli iniettori e di altre componenti del motore nonché la pulizia del serbatoio, il controllo manutentivo del veicolo effettuato alcuni mesi prima, stessi inconvenienti subiti da altri utenti, costituiscono elementi di prova gravi precisi e concordanti per ritenere sussistere il nesso di causalità tra immissione del gasolio e l'evento dannoso. - si legge in sentenza”.
”Del resto, parte convenuta non ha dimostrato l'assenza di contaminazione del carburante ma si è limitata a una difesa generica non supportata da elementi di prova certi. Infatti la documentazione fornita dalla società con la produzione delle bolle di accompagnamento del carburante non è idonea da sola a dimostrare l'integrità del prodotto entrato nel circuito del veicolo dell'attore potendo la difettosità del prodotto approvvigionato non essere stata correttamente individuata dal personale addetto alla sua distribuzione e potendo la contaminazione dipendere da molteplici cause oltre che da fatti accidentalI”.
Alla fine, dunque, il giudice ha condannato l'azienda di carburante a pagare in toto la fattura del meccanico e pure a restituire i 98 euro di gasolio erogato dalla pompa difettosa.