Operaio malato e poi licenziato: il giudice del lavoro lo reintegra
Secondo l’azienda aveva superato il limite massimo di assenze. La lettera «d’addio» era arrivata il 23 dicembre dello scorso anno a un operaio metalmeccanico che lavorava nello stabilimento da oltre una decina di anni. Per il giudice, il lavoratore è stato discriminato e comunque il datore di lavoro non lo aveva avvertito prima del superamento del periodo di comporto
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ROVERETO. La lettera di licenziamento era arrivata a casa dell'operaio l'antivigilia di Natale dell'anno scorso, tingendo di nero le feste. Che quest'anno avranno invece luci colorate per l'uomo visto che il giudice del lavoro di Rovereto ha dichiarato nullo quel licenziamento. E la sua azienda dovrà reintegrarlo e pagargli 2600 euro per ogni mese trascorso fra quella lettera e il suo ritorno ufficiale sul posto di lavoro. L'azienda, la Sicor, aveva troncato il rapporto di lavoro con l'operaio perché - sosteneva - quest'ultimo aveva superato il periodo di comporto. Ossia il periodo massimo di non lavoro dovuto a malattia o infortunio, nel quale il datore di lavoro non può procedere al licenziamento.
Trascorso tale periodo, è possibile recedere dal contratto. La data in cui era stato troncato un rapporto di lavoro decennale era stata quindi il 23 dicembre 2022, trascorsi 90 giorni di malattia. Lettera che l'uomo, attraverso l'avvocato Giovanni Guarini, aveva contestato facendo ricorso e spiegando come da tempo soffrisse di gonalgia bilaterale. Si tratta di un dolore al ginocchio che non dipende dall'età ma (anche) da sollecitazioni eccessive all'articolazione.
Questa patologia lo aveva costretto a diversi periodi di malattia e ad un intervento chirurgico e ne comprometteva le capacità di locomozione e, più in generale, la qualità di vita.
Una patologia che gli avrebbe impedito di svolgere le proprie mansioni - assemblaggio e nella movimentazione di pezzi metallici pesanti - in condizioni di parità con gli altri lavoratori portandolo a ritenere che e le sue condizioni rientrassero nella definizione di handicap adottata dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Da qui l'accusa di licenziamento discriminatorio e la richiesta di reintegro. Il lavoratore, inoltre, sosteneva che il licenziamento, volendo anche negare la sua natura discriminatoria, fosse comunque illegittimo.
Perché? Secondo la sua ricostruzione il periodo di comporto non poteva essere considerato superato. Alla sua situazione individuale, infatti, non era applicabile il contratto collettivo Cisal - Anpit, come voleva l'azienda, perché la Fiom, il sindacato maggioritario in azienda e cui era stato iscritto, non risultava tra i firmatari. Quindi, secondo il lavoratore e il suo legale, doveva essere applicato il contratto nazionale dei metalmeccanici, quello indicato nella lettera di assunzione.
Che prevede un periodo di comporto più lungo. Per capire la differenza, il contratto metalmeccanici prevedeva un periodo di comporto di oltre 500 giorni, l'altro di 90. E comunque - ha spiegato la difesa dell'operaio, il periodo non poteva dirsi superato nemmeno applicando il Cisal-Anpit: l'interpretazione proposta vanificava l'anzianità di servizio del lavoratore al fine di applicargli il più breve dei termini previsti nell'accordo, non era corretta.
La Sicor? Aveva chiesto il rigetto di ogni pretesa del lavoratore sostenendo che il licenziamento non era discriminatorio, perché le condizioni di salute del ricorrente non erano riconducibili alla nozione di disabilità e che il contratto Cisal-Anpit doveva ritenersi l'unico applicabile, poichè l'azienda aveva disdetto il precedente e abbandonato l'associazione firmataria, la Federmeccanica.
Quindi la decisione del giudice: «Risulta fondata la ricostruzione della difesa del lavoratore, secondo cui il licenziamento è nullo in quanto discriminatorio. Le condizioni sanitarie del ricorrente rientrano nella definizione di disabilità elaborata dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea. La gonalgia sofferta dal lavoratore è di certo di lunga durata e rappresenta una minorazione fisica idonea a ostacolare la sua partecipazione in condizioni di parità alla vita professionale.
L'applicazione di un periodo di comporto di uguale durata tra lavoratori non disabili e disabili rappresenta, di per sé, una condotta discriminatoria, e l'applicazione di eventuali norme di un contratto collettivo che non prevedano tale distinzione - come quello Cisal-Anpit - rappresenta una palese violazione di legge.
Inoltre, la società non ha offerto in maniera chiara la dimostrazione di aver adempiuto all'obbligo di predisporre accomodamenti ragionevoli in favore della conservazione del posto di lavoro del disabile e ha anche omesso di informare, in qualunque modo, il dipendente dell'approssimarsi della scadenza del periodo di comporto».
L'operaio avrebbe potuto, infatti, usufruire di un periodo di aspettativa non retribuita restando quindi a casa m evitando il licenziamento. Ma. D.