Rovereto, si accascia in palestra e muore a 61 anni: dolore per la morte di Antonello Furchì
Nato in Calabria, a Tropea, a Rovereto era arrivato negli anni Novanta e, dopo aver insegnato alle Degasperi di viale Vittoria, era arrivato, come professore d'arte, al Liceo Filzi. I colleghi: “Una persona d’oro”
ROVERETO. Si è accasciato a terra lunedì sera mentre giocava a calcetto con un gruppo di amici e, nonostante il disperato tentativo di rianimazione prima dei compagni di gioco e poi del medico di Trentino Emergenza, è morto. Antonello Furchì, per tutti Antonio, aveva solo 61 anni. Architetto di formazione, insegnante per passione, lascia un vuoto incolmabile nella sua famiglia e nelle tante persone che aveva incrociato durante la sua vita dalle mille sfaccettature.
Nato in Calabria, a Tropea, a Rovereto era arrivato negli anni Novanta e, dopo aver insegnato alle Degasperi di viale Vittoria, era arrivato, come professore d'arte, al Liceo Filzi. E agli studenti aveva saputo trasmettere anche un'altra sua grande passione, quella per la fotografia. Lui con l'obiettivo sapeva raccogliere particolari e raccontare storie, tanto che aveva vinto diversi concorsi. Ma all'arte della fotografia aveva avvicinato anche gli studenti organizzando dei laboratori che poi si erano trasformati nelle immagini che tappezzano alcuni muri dell'istituto di corso Rosmini.
«Antonello mancherà tanto, era una persona curiosa, aperta, molto disponibile e ho avuto la doppia fortuna di averlo come collega e come amico» ricorda Giulio Robol, che lunedì sera con Furchì a giocare a calcetto alla palestra dell'Arcivescovile in corso Bettini. «Era stato lui - racconta ancora Robol - a coinvolgermi in questi appuntamenti del lunedì sera, e così ci trovavamo ogni settimana da circa un anno a questa parte».
Lunedì Robol era in porta. «Mi ricordo che ho visto Antonello in piedi - racconta - poi mi sono girato per seguire l'azione di gioco e quando sono tornato a guardarlo, era a terra». Tutti hanno subito cercato di aiutarlo. Immediatamente è stato chiamato il 112 e mentre alcuni sono corsi ovunque a cercare un defibrillatore - che non c'era - altri hanno iniziato a fare il massaggio cardiaco, sostituiti poi dai sanitari. Dopo le prime cure, la corsa a Trento dove il professore si è spento.
«Lui metteva il cuore in tutto quello che faceva, ed era un eclettico. Architetto, professore, fotografo e anche chef. Aveva frequentato il corso serale all'Alberghiero e i suoi bignè alla crema di limone erano eccezionali». Furchì, che si era anche candidato alle comunali, era attivo dalla metà degli anni Novanta nell'associazione "nordsud" assieme al preside Francesco Laterza: insieme hanno portato avanti numerosi progetti e iniziative di grande spessore culturale.
«L'arte era il suo lavoro - ricorda la sindaca Giulia Robol - ed era anche la sua grande passione: un sentimento che riusciva a trasmettere ai ragazzi con cui si confrontava, in modo fresco e con enorme sensibilità. Aveva una spiccata capacità di lavorare con gli altri, tanto che confrontarsi con lui risultava facile, spontaneo, molto produttivo. Ricordo volentieri il suo entusiasmo, ricordo una persona capace anche di leggerezza e costante cortesia nei modi».
Per l'assessora Micol Cossali: «Lo avevamo incontrato solo pochi giorni fa per una seduta della commissione cultura, durante la quale aveva portato il suo consueto contributo di curiosità e vitalità. Si era interessato, in particolare, ai progetti che si stanno sviluppando attorno alla stazione dei treni. Ricordiamo con un sorriso il suo sguardo positivo verso la città: lui che era originario della Calabria aveva scelto Rovereto per costruire qui la sua vita e le sue relazioni, tanto da essere sempre attento alle vicende locali; questa era casa sua e l'impegno che vi apportava ne era la manifestazione evidente».
Furchì lascia la moglie Maria Teresa, i figli Fabio e Caterina.