Protesta: «Città della pace? Ma qui non si fa niente, aboliamo il titolo». Robol «La vostra una provocazione»
Un comitato con Ennio Bordato, Matteo Gottardi, Roberto Chemotti e Marco Luscia vuole raccogliere le firme per indire un referendum. La sindaca non ci sta: «Resto veramente basita da questa iniziativa, è un atteggiamento conflittuale che va contro a ciò che gli stessi promotori auspicano. Non ne capisco veramente il senso...»
ROVERETO - «Mi sembra una provocazione negativa, che crea conflitto, per nulla "pacifica"». Risponde così la sindaca Giulia Robol all'iniziativa di un comitato di cittadini (a presentarla Ennio Bordato, Matteo Gottardi, Roberto Chemotti , Marco Luscia) che vuole raccogliere le firme necessarie per indire un referendum. Un referendum un po' particolare perché, se dalla teoria si passasse alla pratica, ai roveretani verrebbe chiesto se sono favorevoli a togliere la dicitura "città della pace" a Rovereto.
«Il titolo di "città della pace" è stato conferito a Rovereto dallo stato italiano con la legge 103 del 2006 grazie al lavoro dell'allora senatore Michelini. Un titolo - prosegue la sindaca - a cui i roveretani tengono e che racconta lo spirito della città. Sono stata veramente sorpresa da questa iniziativa. Proporre di togliere l'indicazione "città della pace" in questo modo mi lascia basita. Perché è un atteggiamento conflittuale, così lo avverto, che va contro a ciò che gli stessi promotori auspicano. Non capisco veramente il senso di chiedere questo referendum».
Rovereto - questa è l'accusa del comitato - non fa nulla abbia a che fare con il richiamo alla pace. E il punto di inizio del ragionamento dei promotori è una mozione presentata un paio di anni fa nella quale si chiedeva che Rovereto, in qualità di "Città della pace", assumesse una posizione rispetto ai conflitti in corso, una posizione chiara e netta contro il riarmo. Mozione votata da 4 consiglieri.
E ancora «Con quel documento - hanno spiegato quelli del comitato - intendevamo aprire un dibattito in città, invitando ambasciatori della Russia e dell'Ucraina per promuovere una politica di pace. Perché questo è il ruolo che Rovereto dovrebbe interpretare, superando le opinioni individuali di ciascun consigliere. O, peggio ancora, la posizione della Fondazione Campana dei caduti, al momento ridotta alla sola divulgazione con azioni di livello territoriale, come le attività didattiche nelle scuole. Ma questo lo fanno tutte le città, anche Trento con l'iniziativa "Trento città della pace", quindi noi per cosa ci differenziamo? Nulla. Quali progetti di alto livello mettiamo in campo per favorire i dialoghi tra ambasciatori? Nessuno. Ci limitiamo a donare una Campana in miniatura al personaggio noto di turno».
«Il senso di Rovereto "città della pace" - commenta Giulia Robol - è molto ampio. Certo se la Campana diventasse il luogo per risolvere i conflitti ne saremmo felici, ma lo vedo poco probabile. Quello che l'amministrazione fa, e la Campana da par suo, è costruire la cultura della pace che non riguarda solo ed esclusivamente i conflitti armati che purtroppo insanguinano il mondo. Significa accoglienza, attenzione verso l'altro, inclusione, aprire spazi, confronti. Essere positivi e aperti, non chiusi e conflittuali.
È un lavoro quotidiano che investe vari aspetti e che tocca ambiti diversi. "Città della pace" significa tante cose e su quelle stiamo lavorando come sta lavorando la fondazione della Campana dei caduti».
Campana di cui quest'anno cade il centenario.
«Anniversario importante che sarà occasione per organizzare e valorizzare diversi momenti, anche con personaggi importanti. Al programma stanno lavorando più attori, compresa la Provincia e il Comune ha previsto uno stanziamento dedicato di quasi 100mila euro per poter organizzare un calendario molto ricco e di spessore».
La sindaca da Ennio Bordato viene accusata anche di aver ignorato la richiesta di una sottoscrizione a nome della città del "Memorandum per la pace" con Beslan. Richiesta fatta via mail nell'ottobre del 2024, ossia in occasione del ventennale della strage nella scuola in Ossezia (più di 300 vittime, fra le quali 186 bambini che sono ricordati in un parco a loro intitolato al Brione).
«Mi spiace ma quella mail proprio non me la ricordo - spiega la prima cittadina - deve essermi sfuggita, ma forse era il caso di non lasciare la richiesta solo in un messaggio di posta elettronica, se ne poteva parlare in un incontro. Facciamo tanto ma si può sempre migliorare e siamo pronti al confronto».