Ora serve nuova cultura industriale
La chiusura della Whirlpool è un punto di svolta per il Trentino, e per il progetto di sviluppo economico che a questa terra si vuole dare. Riguarda le centinaia di lavoratori diretti e quelli dell'indotto per cui andranno individuate appropriate forme di sostegno e di «riconversione». Ma riguarda e investe l'intera comunità trentina, chiamata a rimpossessarsi della sua vocazione «industriale» e imprenditoriale, in maniera modernaI tuoi commenti
Pur essendo «l'industria dei forestieri» l'inclinazione naturale per il paradiso delle Dolomiti, non possiamo immaginare sviluppo senza industria.
Diverso dal passato, sicuramente non più contraddistinto da acciaierie e grandi stabilimenti delle multinazionali, ma di un motore produttivo industriale e manifatturiero modernamente radicato nel contesto della competizione internazionale e dell'export mondiale, e vitalmente inserito nell'innovazione e nella ricerca avanzata, il Trentino non può fare a meno. Pena il ridursi in pochissimo tempo ad una semplice dependance vacanziera di territori più dinamici e ricchi, che avranno il capitale e l'energia propulsiva per acquisire e rilevare le stesse strutture ricettive dolomitiche, confinando i trentini in ruoli marginali di camerieri e ausiliari tuttofare.
Se l'industria resta - e deve restare - una spina dorsale dello sviluppo economico del Trentino, non può che essere su basi nuove, legate a imprenditoria radicata nel (o attratta dal) territorio, strettamente intrecciata con i livelli di istruzione e innovazione che il territorio (e la sua università e i suoi centri di ricerca) sanno produrre, prevalentemente vocata all'export e quindi attrezzata alla competizione internazionale (anche perché il mercato interno nei prossimi anni non darà spinte sufficienti). E operante in settori e in produzioni ad elevato valore aggiunto e con impiego di lavoratori estremamente qualificati.
Altro tipo di industria difficilmente avrà presa in Trentino, e soprattutto non garantirà continuità e dinamiche di sviluppo a medio-lungo periodo.
Ciò presuppone innanzitutto che l'intera comunità trentina - a tutti i livelli - sviluppi e faccia propria una genuina e sentita cultura imprenditoriale, produttiva e industriale. Oggi a livello generale, politico, di opinione pubblica, di università, ma anche di stessi operatori economici e qualche volta sindacali, manca molto spesso una vera cultura industriale. Impresa e ricavi, competitività e rischio, volontà di cambiamento e genialità di soluzioni, e soprattutto non dipendenza continua dal pubblico e dal denaro pubblico, sono ancora dimensioni assenti, lontane, sospette, evitate. L'idea che la ricchezza vada creata prima che divisa, che la crescita vada costruita prima che pretesa, che il merito è la via ordinaria per conseguire successo e risultati, e non il diritto acquisito o il sistema garantito, non appartengono ancora pienamente ai trentini, costituendo in molti casi pregiudizio ad ogni intrapresa e innovazione.
Se un approccio culturalmente positivo a ciò che è impresa e lavoro (anche manuale e manifatturiero) è indispensabile a cominciare dalla scuola, dalla pubblica amministrazione, dalla politica e dall'opinione pubblica in generale, altrettanto è richiesto al mondo imprenditoriale trentino.
Pur avendo «cattedrali del lavoro» come la Whirlpool aiutato negli anni a far acquisire una dimensione industriale agli imprenditori trentini (che non hanno avuto storicamente una lunga tradizione in tal senso), e pur avendo aiutato a formarsi l'idea che non c'è industria se non legata ad una dimensione mondiale dell'economia, è ancora fragile un'autentica e fertile «cultura industriale». Per lo meno a livello diffuso, al di là delle eccellenze che pure il Trentino vanta.
Molte rimangono le debolezze: l'individualismo esasperato che impedisce di fare squadra e di trovare approcci di mercato straniero comune; difficoltà a scambiarsi informazioni, personale e saperi; insufficiente considerazione che la partita si gioca tutta o quasi sul fronte dell'export e dei mercati esteri; difficoltà a inserirsi nelle dinamiche virtuose offerte da università e sistemi di formazione locale, di livello in molti casi europeo; ancora troppa, eccessiva dipendenza dal pubblico e dalla Provincia, e incapacità di camminare con le proprie gambe. E soprattutto scarsa attitudine all'autocritica e alla considerazione dei propri punti di debolezza.
Lo si è visto chiaramente all'ultima assemblea degli Industriali dell'altra settimana a Levico, dove la relazione del presidente - a molti apparsa sopra le righe, e dai toni quasi arroganti - ha totalmente eluso le proprie deficienze strutturali e di sistema, la propria ancora eccessiva dipendenza dalle risorse pubbliche e dai rapporti con la politica (come mai nessun accenno al lease back, e a quanti ne hanno beneficiato?), la propria incapacità di «fare rete» e anche di porsi dei limiti, come nel caso degli impianti di risalita, dove in questi anni si è preteso che l'ente pubblico finanziasse sempre a piè di lista e coprisse i buchi di bilancio senza mai «autoregolamentarsi» per evitare impianti di risalita sotto i 2000 metri (insostenibili economicamente) e nelle aree ad alto valore ambientale. La propensione ancora dominante è quella di chiedere alla politica, chiedere alla Provincia, chiedere al Palazzo. Probabilmente è ancora forte l'idea che in Trentino senza la politica (e i rapporti con la politica) non si fa impresa, e quindi se si deve contestare il «guidatore», è meglio farlo quando non è più alla guida, anche per evitare accuse d'ingratitudine e permettersi di riposizionarsi meglio con il prossimo «guidatore».
La chiusura della Whirlpool è un punto di svolta per il Trentino, e per il progetto di sviluppo economico che a questa terra si vuole dare. Riguarda le centinaia di lavoratori diretti e quelli dell'indotto per cui andranno individuate appropriate forme di sostegno e di «riconversione». Ma riguarda e investe l'intera comunità trentina, chiamata a rimpossessarsi della sua vocazione «industriale» e imprenditoriale, in maniera moderna, creativa, aperta al mondo e soprattutto «capace di fare» senza chiedere e pretendere continuamente dalla politica, che avrà già il suo bel daffare nella prossima legislatura a ridisegnare l'intera architettura dell'Autonomia. Sarà anche questo un banco di prova della maturità della classe imprenditoriale trentina.
p.giovanetti@ladige.it