«La mia Provincia? Più giusta e sobria»
Una riforma profonda della Provincia è uno dei propositi del movimento 5 Stelle, illustrati dal candidato presidente Filippo Degasperi , dopo il passaggio nel meet-up del programma, in vista delle elezioni provinciali. Degasperi, 41 anni, trentino, laureato in economia politica, è insegnante di matematica all'istituto alberghiero di Levico, lavora anche come commercialista libero professionista (in passato un'esperienza alla Grundig), e vive nel capoluogo con moglie e figlia
Una riforma profonda della Provincia è uno dei propositi del movimento 5 Stelle, illustrati dal candidato presidente Filippo Degasperi , dopo il passaggio nel meet-up del programma, in vista delle elezioni provinciali. Degasperi, 41 anni, trentino, laureato in economia politica, è insegnante di matematica all'istituto alberghiero di Levico, lavora anche come commercialista libero professionista (in passato un'esperienza alla Grundig), e vive nel capoluogo con moglie e figlia.
Come giudicate il modello trentino?
«Purtroppo ha largamente tradito i valori dell'autonomia, specie negli ultimi vent'anni. Ha portato i milioni nelle tasche di una minoranza, lasciando agli altri solo le briciole. Certo, le briciole restano pur sempre qualcosa, ma le potenzialità sono ben altro ed è necessario un riequilibrio della distribuzione delle risorse, rifiutare il clientelismo. Inoltre, ha preso piede nella classe dirigente un certo gigantismo che contrasta con l'idea di sobrietà cara anche ad Alcide De Gasperi e si presta alle critiche provenienti da aree che non godono dello Statuto speciale. Non possiamo farci del male da soli, per esempio, costruendo un'architettura istituzionale ipertrofica, con una miriade di livelli amministrativi, tutti naturalmente retribuiti eppure siamo la terra del volontariato...».
Come pensate di riformare il sistema?
«Innanzitutto, favorendo la partecipazione attiva dei cittadini in politica, la circolazione della conoscenza, la massima trasparenza nella sfera pubblica. Va garantito l'accesso alle informazioni sull'attività della Provincia e di tutte le sue ramificazioni, specie le forme societarie di diritto privato nelle quali sono sempre i contribuenti trentini a pompare la linfa vitale. Inoltre, per noi è essenziale promuovere il merito nelle politiche sul personale».
Un'ipotesi di correttivi praticabili?
«Intanto, la cancellazione della figura del dirigente generale in Provincia, perché presenta effetti collaterali sconvenienti. In genere un assessore colloca in quel ruolo un uomo di sua fiducia, tramite il quale interfacciarsi con l'apparato. Poi, però, il politico passa e il potente tecnocrate resta al suo posto, con buona probabilità di trasformarsi nel vero decisore in grado di influenzare gli assessori successivi. Perciò è un errore nominare dirigenti generali a vita: la nostra proposta è che questo connettore fra politica e burocrazia sia un assistente di fiducia dell'assessore in carica, uno che poi se ne andrà con la fine della giunta. In fin dei conti stiamo parlando di una figura politica, perché per gli aspetti dirigenziali meramente tecnici le competenze sono già presenti negli uffici. Quanto alle sacche di privilegio, va detto che non sono tanto nell'apparato provinciale vero e proprio ma nelle varie società partecipate, la vera prateria in cui i politici possono piazzare le persone».
Idee per il tessuto produttivo?
«Innanzitutto, ribaltare il sistema che alimenta pochi soggetti con i denari di tutti: dunque, per esempio, tagliamo l'Irap (imposta totalmente nella disponibilità provinciale) a ogni impresa anziché dare contributi solo ad alcuni. Anche la riduzione delle tariffe energetiche è importante e si può fare attraverso Dolomiti Energia, azienda controlalta dal pubblico, anche se qualcuno ha avuto la geniale pensata di farci entrare soci privati, fortunatamente in minoranza. Poi, l'accesso al credito: la Provincia è presente in quasi tutte le banche locali eppure non facilita, come potrebbe, questo snodo fondamentale per le imprese. Bisogna anche snellire le formalità burocratiche e assicurare più servizi sul territorio: non è pensabile, per esempio, che la Camera di commercio abbia uffici solo nel capoluogo. E in generale, va valorizzato il ruolo delle agenzie pubbliche a supporto dell'impresa».
Il turismo come dovrebbe orientarsi?
«In questi anni la Provincia ha incentivato un modello fondato sugli impianti di risalita, che è particolarmente invasivo nell'ambiente montano ma a questo sacrificio della collettività consegue un ritorno sotto forma di un turismo a basso valore aggiunto, un po' mordi e fuggi. Si tratta di una prospettiva scarsamente competitiva nello scenario internazionale dove, anche nell'arco alpino, si muovono località d'alta quota con una forza d'urto enorme rispetto alla nostra. Chiediamoci se questa massiccia infrastrutturazione delle nostre montagne ha un senso. E ricordiamoci che Trentino Sviluppo ha in mano le azioni di molte società impiantistiche finite male... No, da noi bisogna investire piuttosto per caratterizzare l'offerta tipica, valorizzare il paesaggio, i servizi aggiunti (dal centro benessere, al commercio, alla cultura), i prodotti del territorio, le vacanze variamente legate alla bicicletta, lo sciescursionismo, l'ospitalità che si coniuga con le attività rurali, la vacanza prolungata».
A proposito: che cosa suggerite per il modello agricolo trentino?
«Vanno promosse le filiere corte e il cibo a chilometri zero, ma va anche messo in piedi un progetto a lungo termine di riforma del prevalere della monocoltura. Capisco che, oggi, i grandi soggetti operanti nel mercato delle mele o dei piccoli frutti guardino al breve periodo, ai conti dell'anno in corso, e siano refrattari a processi, per esempio, di progressiva conversione al più salubre metodo biologico. Ma alla politica spetta proprio questo ruolo di programmazione. In realtà, nell'agricoltura, come nel turismo, nel lungo termine il nostro sistema rischia di soccombere se crede di confrontarsi quantitativamente con i giganti del settore: la nostra forza è nella tipicità e nella nicchia di qualità. Un processo di conversione richiede molto tempo, perciò, a maggior ragione è fondamentale cominciare a pensarci ora, per non scoprirsi impreparati il giorno in cui la reddittività di questo modello dovesse crollare. E la politica deve avere proprio la capacità di guardare lontano, di creare opportunità e individuare i nodi critici per risolverli con la partecipazione dei cittadini».