Domenica prossima saremo chiamati a votare il nuovo parlamentino dell'Autonomia e a scegliere chi guiderà il Trentino nei prossimi cinque anni. Non c'è che l'imbarazzo della scelta fra liste, listine, candidati presidente, aspiranti consiglieri o sedicenti tali. Sicuramente troppi, come dimostra la confusione e il disorientamento che si respirano in giro, accentuati dal fatto che la maggior parte delle liste sono di recente invenzione, confezionate apposta per le elezioni e senza alcun radicamento sul territorio.
La campagna elettorale, finora, è stata fra le peggiori che ricordi la storia trentina. Più che un confronto concreto sulle scelte che l'Autonomia sarà chiamata ad affrontare nei prossimi dieci anni, indicando dove andrà tagliato il miliardo di euro in meno l'anno che avremo a disposizione in bilancio nella prossima legislatura (specie dal 2017 in avanti), la maggior parte dei candidati e aspiranti presidenti si è esercitata in rivendicazioni di piccolo cabotaggio, marcature di orticelli, difesa di gruppi settoriali o di territori, senza trasmettere l'idea di un progetto complessivo di Trentino nel «nuovo mondo» in cui ormai ci troviamo. Un mondo costituito da assai minori risorse pubbliche (l'economista Michele Andreaus parla di un prossimo dimezzamento del bilancio provinciale rispetto al 2009), da una messa in discussione del tradizionale rapporto Stato-Autonomie, da una competizione dei territori non più garantiti da sussidi, dalla fine del modello di welfare onnicomprensivo, in cui è il pubblico il motore e la benzina di tutto.
In queste settimane è parso quasi che i più siano disinteressati al governo del Trentino, ma si candidino all'opposizione del governo del Trentino che sarà chiamato ad effettuare le scelte decisive e innovative per i prossimi dieci anni.
L'importante è entrare in consiglio: a fare cosa, poi, non si sa. Quasi ritenendo che, tutto sommato, le cose andranno avanti come prima, e la macchina provinciale continuerà come è sempre stato.
No, stavolta non è così. Innanzitutto perché l'intera ossatura dell'amministrazione pubblica andrà fatta funzionare (magari anche meglio di ora) con il 25-30% di risorse in meno, non essendoci più quei soldi a bilancio. E quando si toccano abitudini, privilegi, cosiddetti «diritti acquisiti», livelli istituzionali, usanze di spesa e di gratuità per il cittadino, non è facile, perché i trentini non sono allenati.
Poi, la prossima legislatura avrà l'incognita dei quadri dirigenti anche della pubblica amministrazione. C'è una generazione che va (o è già andata) in pensione, e non è stata fatta crescere una seconda generazione pronta al ricambio. In questi decenni la Provincia ha funzionato (anche) grazie ad una dirigenza generalmente di alto livello.
Inoltre, non esiste più il meccanismo del finanziamento dei 9/10 garantito a scatola chiusa. Ora le entrate della Provincia sono legate al territorio, cioè a quanto il Trentino produce, cresce, si sviluppa. In sostanza, a quanto sa camminare con le sue gambe, visto che il metadone dei contributi provinciali sarà sempre di meno, e la dipendenza era (è) alta.
Non si possono, quindi, sbagliare scelte nei prossimi anni. Ciò che si spende da parte dell'ente pubblico dovrà portare inesorabilmente ritorno economico, o crescita del territorio. Se non lo porta, è un investimento che non ci si può (e non ci si deve) più permettere.
Sono pochi tra i candidati a fare questi discorsi girando le valli, parlando agli amministratori comunali, incontrando gli elettori. Si promette, si promette, si promette, senza dire con chiarezza che tutta una serie di pratiche di spesa non sono più compatibili con l'oggi, e soprattutto con il domani. Bisogna che i trentini lo sappiano, per non svegliarsi il 28 ottobre sorpresi che non è più come prima.
Non è tanto, o non solo, un discorso di debito pubblico effettuato dalla Provincia. I debiti possono essere anche buoni, o utili, se per esempio viene fatto un mutuo per acquistare la casa, e poi ci si vive; o se serve ad aprire un'attività con cui poi ci si lavora.
Certo nel miliardo e mezzo di debito pubblico che ha fatto la Provincia ci sono investimenti che generano valore (per esempio la partita dell'energia), e quindi si autoliquidano. Ed altri di dubbio ritorno (chi ripianerà i tanti lease-back accesi? Resteranno in groppa ridondanti e inservibili capannoni?).
La questione centrale è che l'investimento serva, sia fruttuoso. Molti degli immobili e delle strutture pubbliche (alcune lussuosissime, altri superflui doppioni) costruite dall'ente pubblico in Trentino negli ultimi decenni sono serviti solo a gratificare la vanità degli amministratori (in cerca di consenso) e ad appagare le pretese di gruppi di pressione o di lobby organizzate, ammantate anche di nobili ideali.
Tanti comuni, nei prossimi anni, per far quadrare il bilancio dovranno mettere all'incanto alcune delle troppe sedi fatte costruire, dei troppi immobili acquisiti senza sapere per farci cosa, degli infiniti impianti realizzati senza far squadra con i comuni vicini. Strutture che ora costano inesorabilmente nella gestione, e saranno anche difficilmente cedibili sul mercato recuperando le risorse spese.
Ciò che conta, poi, è soprattutto dove e come bisognerà intervenire nei vari settori di bilancio, di fronte alle varie voci, dentro i diversi comparti per riassettare il livello delle uscite al nuovo livello di entrate, notevolmente ridotto rispetto a prima.
Questo va detto in campagna elettorale ai cittadini, non il 28 ottobre ad urne chiuse. E insieme va detto dove e come si punta per far crescita, per produrre reddito, per generare risorse che dovranno poi servire a far funzionare le case di riposo e le scuole. Perché altrimenti, se non si produce quella crescita, non ci saranno nemmeno risorse per il resto, istruzione e salute comprese. La spesa pubblica non è una variabile indipendente rispetto alle entrate a disposizione, checché ne pensi la maggior parte degli italiani, e anche dei trentini.
Su questo la campagna elettorale giunta ormai all'ultima settimana, non ha brillato granché. E non è servita a chiarire le idee, e nemmeno a responsabilizzare i trentini su ciò che li aspetta, trasmettendo fiducia e sicurezza che qualcuno ci sta pensando. È come se tutti puntassero più che al comando della nave di fronte all'iceberg da evitare, a fare i cuochi di bordo e a decidere il menù e l'intrattenimento dei passeggeri.
L'altro fattore decisivo della prossima legislatura sarà la ridefinizione del rapporto Stato-Autonomia speciale, e sarà una partita cruciale per noi, perché ad essa è legato ciò che sarà il Trentino nei prossimi decenni. Anche qui la campagna elettorale si è per lo più ridotta a qualche slogan contro Roma, come se il problema fosse Roma e non riorganizzare Trento nel rapporto con lo Stato centrale. Quasi completamente ignorata la dimensione Trento-Bolzano, di fronte ad un Alto Adige che ha già operato un salto generazionale, di idee e di prospettiva nel dopo Durnwalder, con il giovane Kompatscher. Dire cosa si vuol fare non tanto della Regione, ma del rapporto Trento-Bolzano, e di quest'asse indispensabile e strategica anche di fronte al confronto con lo Stato.
Nelle parole di molti candidati e di molti aspiranti presidenti, la dimensione è assente, come se Bolzano non ci riguardasse, e come se non fossimo legati ad un filo doppio. Non soltanto per la questione dello Statuto e della minoranza tedesca, ma per le strategie politiche da elaborare e portare avanti insieme. Uscita di scena la coppia Dellai-Durnwalder, va costruito in fretta e con idee trentine il nuovo asse Trento-Bolzano. Ma anche questo sembra non interessare ai più di quanti corrono domenica per un posto in consiglio regionale.
Bisogna stare attenti a scherzare col fuoco. Quella che inizia domenica non sarà una legislatura come le altre.
Ma chi si candida, l'avrà capito?
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