Comunità, parla Daldoss
Il cambio di rotta della Provincia sulle Comunità di valle è a 360°. Una netta «discontinuità» rispetto all'era Dellai. La giunta provinciale ha discusso sul progetto di riforma dell'assessore Carlo Daldoss, che ipotizza una totale revisione dell'assetto istituzionale del Trentino. L'intervista del direttore
TRENTO - Il cambio di rotta della Provincia sulle Comunità di valle è a 360°. Una netta «discontinuità» rispetto all'era Dellai.
La giunta provinciale ha discusso sul progetto di riforma dell'assessore Carlo Daldoss, che ipotizza una totale revisione dell'assetto istituzionale del Trentino.
Basta Comunità di valle come ente intermedio, con cariche (e indennità) aggiuntive, elezione diretta dei propri presidenti e ruolo politico autonomo che si è tradotto di fatto in contrapposizione con i comuni invece che in strumento operativo e decisionale dei comuni. Sfoltimento e alleggerimento delle assemblee, che non possono essere composte da decine e decine di membri perché questo significa la paralisi dell'ente, come avviene oggi. Gestioni associate a «geometria variabile», in base a ciò che è meglio per i comuni, ossia più efficiente, funzionale ed economico. Competenze certe, magari meno onnicomprensive ma effettive, in tre-quattro ambiti dove le Comunità di valle devono poter lavorare, fin da subito. Uno status particolare per Rovereto, che non può essere semplicemente uno dei 17 comuni della Vallagarina con lo stesso peso di Terragnolo. Introduzione di forme di partecipazione diretta dei cittadini. E, infine, decisa accelerazione sulle fusioni dei comuni per ridurre la polverizzazione attuale e dare quindi più forza ai comuni stessi, in quanto più grandi.
Sono questi alcuni dei capisaldi della riforma portata avanti da Daldoss.
«Questo è la mia proposta», ci tiene a precisare l'assessore Daldoss. «Sarà comunque la maggioranza di centrosinistra autonomista e il consiglio provinciale nel suo insieme a decidere quale sarà il nuovo assetto istituzionale del Trentino. Il progetto fa tesoro delle richieste che ho avuto dalla base e dagli stessi comuni in tutte le riunioni tenute nelle valli e nei paesi».
Assessore, più che un aggiustamento è un cambio radicale rispetto alla legge attualmente in vigore. Di fatto le Comunità di valle divengono un consorzio dei comuni e non un ente a sé stante.
Se la legge funzionasse così com'è, non ci sarebbe bisogno di riforma. A mio parere occorre semplificare i processi decisionali, ridurre costi e livelli istituzionali prima che siano altri (magari da Roma) a ordinarcelo, renderci conto che con 217 comuni, alcuni piccolissimi, non è possibile razionalizzare la spesa pubblica e orientarla esclusivamente alla crescita. Dobbiamo favorire un processo di aggregazione dei comuni, e questo non può che andare di pari passo ad una ridefinizione delle Comunità di valle per far sì che chi si unifica abbia più peso nella Comunità. Io immagino che in tempi brevi (un paio d'anni?) i finanziamenti per investimenti non siano più assegnati al singolo comune, ma ad un tavolo in cui i sindaci contano. Questo tavolo è la Comunità, che non è un ente altro rispetto ai comuni, ma espressione e coordinamento dei comuni».
Così, però, non ha più senso l'elezione diretta, le cariche aggiuntive ai vertici delle Comunità, le giunte miste con rappresentanti eletti direttamente e altri di provenienza comunale...
No, se siamo d'accordo che le Comunità non sono un altro ente oltre ai comuni e alla Provincia, ma un tavolo di lavoro (obbligatorio) dei comuni, l'elezione diretta non serve. La mia proposta è di ridurre (anche di molto) i componenti delle assemblee, le quali diventano di fatto Consigli di Comunità composti dai sindaci, eletti anche in rappresentanza di sub-ambiti, e da una rappresentanza delle minoranze dei consigli comunali. Il presidente e la giunta, poi, vengono eletti dal consiglio della Comunità. Secondo me il presidente non dovrebbe essere nemmeno un sindaco, ma un esterno al consiglio che fa - diciamo - da amministratore delegato delle volontà dei sindaci, e realizza le decisioni prese. Per questo io metterei l'incompatibilità con la carica di sindaco, in modo che non favorisca il proprio comune a scapito degli altri, ma attui la sintesi migliore della volontà di tutti.
Ovviamente questa è la mia proposta. In giunta provinciale continueremo la discussione, e poi alla fine si deciderà.
Cosa intende per sub-ambiti? Vuol dire che ogni comune non avrà il suo rappresentante nella Comunità di valle?
Uno dei motivi del cattivo funzionamento delle Comunità di valle è la pletoricità delle assemblee. Non possiamo avere assemblee di 99 componenti: non decidono nulla. Meglio organismi snelli, ma efficaci nelle decisioni. Io prevedo che si passi ad assemblee di 15, massimo 20 componenti. Per cui, per esempio, nelle Giudicarie, non ci saranno tutti i sindaci della Rendena, della val del Chiese, delle Esteriori, eccetera, ma dei rappresentanti di ogni ambito. In tal modo abbiamo degli organismi snelli, che possano prendere decisioni e non solo discutere. E, non dimentichiamolo, attuiamo nei fatti una riduzione dei costi della politica.
Insomma lei punta a semplificare, e anche ad eliminare tutta una serie di doppioni di organismi decisionali, che ritornano sulla stessa decisione all'infinito.
Sì, la partecipazione dei sindaci negli organi della Comunità consente la semplificazione dei processi decisionali e l'eliminazione del doppio passaggio in assemblea e nei consigli comunali.
Assessore, uno dei muri su cui le Comunità di valle sono andate a sbattere è quello delle «gestioni associate». La rigidità del meccanismo molto spesso era addirittura non funzionale al risparmio, e del tutto inefficiente.
Anche su questo la mia proposta è di cambiare nettamente. Vanno ridefinite le gestioni associate dei servizi comunali comunque nel rispetto del principio di contenimento dei costi. Detto questo, però, devono essere gestioni associate «a geometria variabile». Ossia il comune può ritenere più conveniente e funzionale una gestione associata con l'intero ambito della Comunità, o semplicemente con un altro comune vicino, o con altri comuni. Non può essere un meccanismo rigido. L'importante è che si arrivi ad avere un servizio più efficiente e meno costoso. La mia proposta è che vengano definiti dei livelli di prestazione a livello provinciale (d'intesa con il Consiglio delle autonomie). E poi i comuni vedranno come meglio realizzare l'obiettivo. L'importante è una definizione dei costi standard, individuando parametri economici che garantiscano il raggiungimento dell'obiettivo di riduzione dei costi degli enti locali. Insomma: più flessibilità rispetto alla gestione attuale, consentendo ai comuni di individuare loro il modo più efficace per raggiungere l'obiettivo, che però va raggiunto. Faccio un esempio: se i comuni della Predaia che si stanno unendo, sono in grado di gestire loro i tributi perché come comune unico hanno una dimensione di 7.000 abitanti, perché farli andare a Cles per la gestione dei tributi? Sceglieranno di gestirseli da soli. L'importante è che siano in grado e che risparmino».
Se un comune piccolo vuole stare da solo, e gestirsi tutto da solo?
Va bene, lo faccia. Deve sapere però che sarà penalizzato dalla finanza pubblica. Tutto ciò che spende in più rispetto al costo standard, gli sarà tolto sul perequativo. Per cui se a Massimeno vorranno gestirsi le cose da soli, va bene: aumenteranno le tasse ai residenti fino a pagare l'intera spesa. Con l'informatica poi oggi il cittadino non viene penalizzato da gestioni associate. Trova il front office nel suo paese con tutto quello che gli serve, anche se la gestione viene fatta altrove.