«Se fossi in Grisenti mi dimetterei»
Quattro anni in giunta comunale assieme. Adesso di nuovo nella stessa aula, seppur su fronti diversi, opposti. Donata Borgonovo Re, ricercatrice a giurisprudenza e ora assessore alla sanità, conosce bene Silvano Grisenti. Da difensore civico non è stata mai tenera nei confronti di un certo modo di fare politica, avvertendo fastidio per i «comportamenti padronali» in stile grisentiano. Ed oggi lo ribadisce
Quattro anni in giunta comunale assieme. Adesso di nuovo nella stessa aula, seppur su fronti diversi, opposti. Donata Borgonovo Re, ricercatrice a giurisprudenza e ora assessore alla sanità, conosce bene Silvano Grisenti. Da difensore civico non è stata mai tenera nei confronti di un certo modo di fare politica, avvertendo fastidio per i «comportamenti padronali» in stile grisentiano. Ed oggi lo ribadisce.
Assessore, per un amministratore pubblico una condanna per truffa (in via definitiva) non è un bel biglietto da visita.
Certo, al di là del nome è chiaro che applicando il codice la truffa è definita come l'utilizzo di risorse pubbliche in modo estraneo ai fini istituzionali. L'ente per cui opero mi dà fiducia e mi concede una carta di credito: dovrei sapere che è strettamente legata al mio ufficio, no?
In effetti Grisenti ha sempre sostenuto che quelle cene da presidente dell'A22 con i compagni di partito dell'Upt erano incontri in cui si parlava dell'autostrada.
L'interrogativo cui va data una risposta è proprio questo: è giusto invitare a cena colleghi di partito e far pagare l'A22? Secondo me, se un tempo si potevano ritenere spese connesse alla propria funzione e dunque cene, viaggi, spese varie erano la normalità, oggi sul piano politico non è più possibile.
In che senso?
Guardi, ha fatto bene il mio collega di gruppo Civico a dire che certi modi di fare politica del passato e di rapportarsi con la cosa pubblica non sono più accettabili. Oggi bisogna essere essenziali, sobri, coerenti e ricordarsi che il ruolo istituzionale che abbiamo non ci deve far ritenere superiori agli altri cittadini: non si spendono 900 euro per cena se devo parlare del futuro dell'A22. Se da presidente dell'autostrada devo discutere con dei politici lo faccio nel mio ufficio, offro dell'acqua, non cene. Chiaro?
La seconda condanna (da ridiscutere in Cassazione) è per tentata violenza privata nei confronti dei vertici dell'impresa emiliana.
Esatto. Qui il punto è capire fino a dove è consentito spingersi con un interlocutore, i toni da usare. Qui riconosco uno stile un po' padronale da parte di Silvano Grisenti.
Assessore, ma non è normale che tra due pezzi grossi di aziende che muovono interessi per milioni di euro possano esserci discussioni anche accese, dure, da scontro verbale?
Ma un conto è se si tratta di due manager di aziende private, un altro è se uno dei due ha una dimensione pubblica. Quando c'è abuso di posizione dominante non è dialogare, ancorché rudemente, è qualcos'altro.
Chi conosce Grisenti sa che lui ha sempre avuto questo modo di fare un po' autoritario.
Guardi, per come conosco Silvano Grisenti, con cui ho condiviso dal '95 al '99 attività politica in giunta comunale, ho ricordo di una persona tanto desiderosa di fare, di lavorare per la sua comunità. Forse in modo troppo paternalistico, avvolgente. Non mi pare che sia una persona che ha cercato di lavorare solo per sé, ma che forse ha interpretato la politica molto centrata su di sé, con un modo di fare che rendeva le persone succubi se non avevano in loro la forza per reggere il confronto.
Ma non mi dirà che interpretare in modo paternalistico la politica è una colpa?
Sì, se con questo atteggiamento ci si spinge un po' troppo verso limiti non legittimi. Per altro riconosco che probabilmente lui l'ha fatto senza vedere in questo un problema. Io me lo vedo, me lo immagino a dire «Vecio, tranquillo» , «Ghe penso mi»...
Se le condanne venissero confermate in Cassazione dovrebbe dimettersi?
Diciamo che per ora, non essendoci la pena accessoria dell'interdizione ai pubblici uffici, lui rimane legittimamente in Consiglio.
Assessore, è chiaro che il punto è politico.
Sul piano politico si apre il dibattito. Personalmente penso che chi svolge una funzione di rappresentanza istituzionale deve presentarsi non solo ai suoi elettori ma a tutti i cittadini nelle condizioni per farlo al meglio. Dovrebbe chiedersi: il mio passato può gettare ombre sulla dignità, sul lavoro del presente?
Dimissioni, sì o no?
Se la sentenza della Cassazione rimanesse questa è chiaro che su di lui resterebbe il sospetto. Per dissiparlo ci vorrebbero atti di grande trasparenza, dovrebbe essere sempre pronto a mettersi sotto i raggi X. Io, per parte mia, non riuscirei a rimanere in politica, mi sentirei piena di vergogna per non aver avuto la capacità di fermarmi prima di avvicinare i confini di comportamenti inopportuni o illegittimi.
Prova imbarazzo a sedersi in Consiglio con lui?
No, anche perché lo conosco da anni e so che lui è così. E a tanti è andato bene che lui fosse così.
Pensa a Lorenzo Dellai, con cui Grisenti ha condiviso successi politici per oltre un decennio?
Certo, anche a lui. Ma penso anche a tanti amministratori e cittadini che si sentivano rassicurati dal «Ci penso io».
Lo giustifica?
Siamo tutti diversi. Di certo la sua modalità paternalistica io non la condivido.
Dopo la sentenza della Cassazione, Grisenti ha riconosciuto qualche sbaglio della sua «prima vita politica».
In campagna elettorale un'amica mi diceva che effettivamente è cambiato. Io voglio credergli, ma prima lui deve riconoscere gli errori.
Gli propone una sorta di redenzione?
Lo dice anche la Costituzione che la pena è per recuperare il condannato.