«Il carcere non riabilita, fa solo crescere la rabbia»
Tre mesi di carcere e l'impressione di esserne uscito peggio di come è entrato. «Il carcere riabilita? Ma non diciamo sciocchezze, su 100 detenuti 101 escono più arrabbiati, frustrati e rancorosi di come sono entrati. Non certo migliori». A parlare è un uomo di mezza età. Un uomo normale, non uno sbandato, che però nella vita ha fatto alcuni errori. Per il momento ha saldato il suo conto con la giustizia con alcuni mesi in una delle celle di Spini di Gardolo proprio nel periodo in cui due ragazzi si sono tolti la vita
Tre mesi di carcere e l'impressione di esserne uscito peggio di come è entrato. «Il carcere riabilita? Ma non diciamo sciocchezze, su 100 detenuti 101 escono più arrabbiati, frustrati e rancorosi di come sono entrati. Non certo migliori».
A parlare è un uomo di mezza età. Un uomo normale, non uno sbandato, che però nella vita ha fatto alcuni errori. Per il momento ha saldato il suo conto con la giustizia con alcuni mesi in una delle celle di Spini di Gardolo proprio nel periodo in cui due ragazzi si sono tolti la vita. «Non è stata una sorpresa, avevamo mandato segnali inequivocabili del loro disagio ma nessuno ha fatto niente per fermarli», denuncia l'uomo che ha durante il suo soggiorno ha scritto pagine e pagine a memoria di quanto accaduto tra quelle mura. Al solo parlare della solitudine vissuta, dello smarrimento, del senso di abbandono, del «non senso» di quei giorni trascorsi lì, gli occhi gli si riempiono di lacrime.
«Quello non è un carcere, è un lager. Un lager senza guida», dice parlando sia della struttura che dei rapporti che si instaurano all'interno.
«C'è divieto di fumo ma dentro fumano tutti. L'attività sportiva è permessa una volta a settimana, si può fare una telefonata a settimana per un massimo di dieci minuti e sei visite al mese. L'ingresso in biblioteca è permesso una volta a settimana mentre la cultura e la conoscenza dovrebbero essere le cose che maggiormente dovrebbero essere incentivate. Per il resto del tempo non si fa assolutamente nulla. Perfino di notte non si dorme perché sul corridoio le luci vengono tenute sempre accese».
Mario (il nome è di fantasia) parla di ragazzi alienati, schiacciati dal carcere. «Tutti sono tirati come corde di violino. Basta una punizione per farli crollare. Li vedi in faccia, cogli dai loro sguardi lo smarrimento. La maggior parte sono spacciatori, gente che vendeva cocaina o altro. Ma va detto che là dentro quei ragazzi li stanno uccidendo piano piano come hanno fatto con i due che si sono tolti la vita. Il problema è che non vengono date opportunità per un domani migliore».
Il 23 luglio ad impiccarsi è stato un ragazzo di 32 anni che aveva un figlio di otto. «Aveva tentato già tre volte in precedenza ma non è stato fatto niente per fermarlo. Avrebbero potuto portarlo in un'altra struttura, aiutarlo, e invece hanno solo aspettato che succedesse». Una settimana dopo a togliersi la vita era stato un altro ragazzo di 32 anni. «Anche la sua tragica scelta non è stata un fulmine a ciel sereno», dice Mario.
«In carcere a quel punto c'è stata una ribellione. Abbiamo fatto lo sciopero della fame e come risposta ci hanno vietato le due ore d'aria».
La giornata tipo nel carcere di Spini inizia alle 7 e 30 quando viene portata la colazione. Poi aprono le porte e le persone possono uscire nei corridoi. «Ma non c'è niente da fare. Potrebbero far fare dei lavori, cercare una riabilitazione di qualche tipo e invece nulla. Si aumenta la rabbia e la frustrazione. Dalle 9 alle 11 i detenuti si ritrovano in un'area comune. Una stanza 22 metri per 12 a cielo aperto. «Ma anche qui non si fa assolutamente nulla». Nota dolente il cibo. «Immangiabile - dice Mario - tanto che praticamente tutti acquistano i prodotti e se li cucinano da soli. È un vero e proprio business. Mi viene da ridere perché controllano che nessuno di noi abbia lamette o cinture ma comunque se uno vuole un modo per togliersi la vita, come dimostrato, lo trova. Invece che aiutare le persone, le annientano psicologicamente».
Mario ha un misto di rabbia e rammarico. «L'ho promesso a quei ragazzi che una volta fuori avrei fatto sentire la loro voce, il loro disagio, le loro difficoltà di rapporti con le guardie carcerarie. Qualcuno si salva, molti hanno atteggiamenti decisamente discutibili con i detenuti che anche se hanno sbagliato sono sempre delle persone e come tali vanno trattate».