Figlie lavoratrici, il padre paga ancora
Le figlie sono maggiorenni e lavorano ma il padre deve continuare a pagare loro l'assegno di mantenimento, anche se ridotto. Lo ha stabilito il Tribunale di Trento, che ha respinto l'istanza di un genitore divorziato che chiedeva venisse sospeso il pagamento. Le ragazze hanno stipendi di 900 euro: troppo «povere» per poter essere considerate indipendenti, da papà avranno 150 euro a testaI tuoi commenti
Nell'epoca dei contratti a termine, dei co.co.pro., dei giovani pagati poche centinaia di euro al mese per impieghi precari e spesso ben diversi da quelli per cui avevano studiato, il principale ammortizzatore sociale è la famiglia. E se la famiglia si è dissolta e i coniugi hanno divorziato, il padre sarà tenuto ad integrare il reddito delle due figlie benché queste siano ormai maggiorenni e lavoratrici. Lo ha stabilito il Tribunale di Trento che ha respinto l'istanza di un papà divorziato che chiedeva di sospendere l'assegno di mantenimento nei confronti delle sue figlie. La ragione è che queste, lavoratrici ma pagate poco, non hanno raggiunto l'indipendenza economica. Il padre dunque è tenuto ad integrare il loro reddito.
Il caso è particolare, ma sarà sempre più comune in un'epoca in cui il prezzo più salato della crisi lo pagano proprio i giovani che si affacciano al mondo del lavoro. Spesso sono costretti ad accettare contratti precari, magari sottopagati, e questo rende problematico affrancarsi dalla famiglia. In questo caso non siamo di fronte a bamboccioni quarantenni che trovano più comodo rimanere nella casa di mamma e papà. Protagoniste sono due ragazze di 22 e 25 anni. Il padre, divorziato ormai dal 2003, versava un contributo di mantenimento delle figlie di 600 euro al mese. Inoltre il genitore pagava anche una quota delle spese per l'affitto. Il padre, attraverso l'avvocato Vanni Ceola, chiedeva di non essere più tenuto al pagamento visto che le due figlie, concluso il loro corso di studi, ormai da tempo lavoravano in modo sostanzialmente continuativo.
Il legale della moglie divorziata e delle due ragazze, avvocato Claudio Tamanini, si è opposto. Non si negava che le due figlie lavorassero, una in un bar e l'altra come sportellista in un ufficio pubblico. La loro situazione però è tutt'altro che stabile. Una passa da un contratto a tempo determinato all'altro, l'altra si deve accontentare di contratti intermittenti. In una parola sono entrambe precarie. Inoltre - sottolineava il legale - guadagnano intorno ai 900-950 euro al mese, troppo poco per consentire alle due giovani di formare un nucleo familiare autonomo. Infine si sottolineava che l'impiego trovato non corrispondeva alle loro aspirazioni, o meglio non era conforme al loro piano di studi (la barista ha studiato ragioneria).
Il collegio del Tribunale, presieduto dal giudice Anna Mantovani, ha accolto le tesi delle ragazze troppo "povere" per essere considerate del tutto indipendenti. L'assegno del padre è stato dunque riparametrato prendendo in considerazione i redditi delle due figlie. Il padre dovrà dunque integrare il loro reddito con 150 euro a testa al mese. Non navigheranno nell'oro, e certo faranno fatica ad affittare un appartamento per conto proprio, ma almeno potranno beneficiare di un sostegno finanziario. I giudici, ma su questo c'era già accordo tra le parti, hanno invece cancellato il contributo per l'affitto versato dall'ex coniuge, perché la madre ha un nuovo compagno che contribuisce alle spese di casa.