La scuola «Maria Bambina» chiude dopo 43 anni di lezioni
Hanno atteso due anniversari tondi per ammainare le vele e issare bandiera bianca le suore di «Maria Bambina» a Trento. I 170 anni dalla loro venuta in città (1846) e i 120 anni dal loro insediamento in via Borsieri (1896), nella sede che lasceranno tra qualche settimana. Se ne andranno entro luglio, disperse in alcune delle 54 case che la congregazione religiosa tiene ancora aperte in alta Italia (18 nel centro-sud).
In Trentino, delle 60 istituzioni nelle quali prestavano servizio, fra ospedali, case di riposo e scuole materne, restano ancora attive soltanto Tione, Rovereto, Cles, Villazzano, Sardagna e Roncafort di Gardolo dove sarà aperta una nuova comunità per ospitare le quattro suore che restano in città.
Tra di loro anche due insegnanti di cui una seguirà i bambini delle elementari, trasferiti e «riprotetti» presso l'Istituto del «Sacro Cuore» in piazza Santa Teresa Verzeri (già beato Bellesini). Alcune delle 21 suore di via Borsieri andranno a Telve Valsugana dove c'è la casa di riposo dell'Istituto che ospita circa cento religiose (75 suore anziane e le altre impegnate nei servizi di assistenza).
«Lasciamo questa struttura - avverte la superiora, suor Maria Luisa Scapin, vicentina - perché non abbiamo più vocazioni religiose. Molte di noi ormai sono anziane e siamo costrette a chiudere. Non c'è ricambio generazionale».
«Dire che siamo dispiaciute di lasciare Trento è dire poco - rincara suor Marisa Quarti, comasca, direttrice della scuola elementare parificata - ma l'Istituto non ha più vocazioni, almeno in Italia. Siamo davvero tristi nel lasciare la città perché dove andiamo "facciamo casa". La terra che ci ospita diventa la nostra terra».
Per questa sofferta decisione, già annunciata da mesi, hanno atteso la fine dell'anno scolastico, vale a dire 43 anni dopo aver avviato il ciclo della scuola primaria. In precedenza l'istituto era stato convitto per le ragazze che studiavano alle superiori e Noviziato per quelle giovani donne che intendevano abbracciare la vita religiosa tra le «Suore di Carità». La crisi ha radici lontane. Dopo gli anni del boom (il picco degli ingressi in Noviziato vi fu nel 1968) le vocazioni alla vita consacrata sono notevolmente diminuite. Coincidente, peraltro, con la crisi generalizzata patita da tutti gli altri Ordini e congregazioni religiose.
Le ragioni sono presto dette: la denatalità, la crisi delle famiglie e la secolarizzazione della società, anche trentina, hanno favorito uno straniamento dal senso del sacro. Quella di Trento, con Roma, Milano e Onè di Fonte (Treviso) era una delle quattro case di Noviziato della congregazione fondata a Lovere (Bergamo) il 21 novembre 1832 da due amiche, Vincenza Gerosa e Bartolomea Capitanio. Furono proclamate sante da papa Pio XII il 18 maggio 1950.
Benché siano ufficialmente «Suore di carità», sono conosciute come le suore di «Maria Bambina» perché nella casa generalizia, in via S. Sofia, a Milano, dal 1842 si venera un simulacro di cera raffigurante una bambina in fasce. Maria bambina, appunto, modellata a Todi (Perugia) nel 1730 da una suora francescana.
Dopo la fondazione della congregazione religiosa a Lovere (21 novembre 1832), le suore domandarono a Vienna il permesso di potersi trasferire anche in altre zone del regno degli Asburgo. Il 20 febbraio 1841 ottennero il placet per aprire una casa a Trento purché non avanzassero richieste di sovvenzioni o di sussidi dal pubblico erario. Arrivate alla chetichella nel 1844 avevano aperto casa in borgo santa Croce vicino al vecchio ospedale di santa Chiara. Nel 1846 avevano preso servizio di assistenza negli ospedali di Trento, Rovereto, Arco e Riva. Fu a loro che si rivolse la Congregazione di carità, l'ente che gestiva l'ospedale cittadino, quando, nel 1855, si profilò la seconda epidemia di colera (dopo quella dell'estate del 1836 che aveva causato, in due mesi, nella diocesi di Trento la morte di 5.748 persone).
Scriveva la superiora, suor Diodata (Carlotta) Marenghi (1824-1885): «[...] Sarei ben lieta, se alla minaccia di una nuova cala¬mità, questa esigua famiglia potesse corrispondere alla propria voca-zione offrendosi pronta a soccorrere ai nuovi bisogni di questa Città in quanto le sue tenui forze lo permettono servendo nel lazzaretto dei chole¬rosi nel caso che questo morbo avesse qui a mani-festarsi. [...] Quindi è che al primo cenno che il lazzaretto sia aperto, due Suore accompagnate da una Superiora si por¬teranno tosto ad assumere la cura a quel modo che si pratica in questo stesso Spedale, non dubitando di venire assistite secondo i bisogni nel loro incarico».
Il Lazzaretto restò in funzione soltanto un paio di settimane (dal 2 al 19 luglio 1855) poiché, scoppiata l'epidemia, molti ammalati rifiutarono il trasferimento «mostrando un'invincibile avversione per tale istituto». Fu riaperto il 3 agosto poiché in città si erano già avuti 19 morti e centinaia erano gli ammalati. Al punto che la Commissione sanitaria del municipio di Trento scriveva in un «Avviso» alla popolazione che «il giornaliero aumento dei casi di Cholera rende impossibile fornire a domicilio gli occorrenti infermieri».
Quell'estate del 1855, su circa 18mila colpiti, in Trentino i morti furono 6.208. Le suore si prodigarono giorno e notte al capezzale dei colerosi, rischiando esse stesse la salute. Per oltre un secolo, la loro presenza negli ospedali e nelle case di riposo è stata garanzia di ordine, pulizia e precisione.
Nei 170 anni della loro presenza nella diocesi di Trento le suore di Carità hanno contribuito all'educazione di migliaia di ragazze: nella scuola di lavoro, nel convitto, nella catechesi, negli oratori e hanno dato il loro contributo alle attività nelle parrocchie. Alcune centinaia sono poi diventate esse stesse suore di «Maria Bambina». Negli ultimi quarant'anni le vocazioni religiose femminili, fra le alunne di via Borsieri, non sono mai fiorite. Invece, dei bambini che hanno frequentato le scuole elementari, Massimiliano Detassis e Francesco Grossi quest'anno saranno ordinati preti a San Vigilio.
A Trento, Maria non è più bambina da un pezzo. È diventata anziana tanto che, a conclusione di una plurisecolare quanto onorata carriera, rischia di finire pure lei in pensione. La statuetta di via Borsieri sarà collocata, infatti, nella cappella della casa di riposo delle «sue» suore, a Telve Valsugana.