Dall’Albania a Trento a 15 anni. Xhonist Ballhysa: «Ho pagato l’università a mia sorella»
Caporeparto del settore pizze al Sosi, ha raggiunto i 10 anni di permanenza in Italia. Se l’è sudata, la vita che ha agguantato. La madre lo aveva salutato a Bologna, prima di tornare ad Elbasan
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TRENTO. Da Elbasan, villaggio vicino a Tirana, è arrivato in Italia con la mamma, ma a Bologna l'ha lasciata. Lei è tornata in Albania, lui è salito da solo verso nord. Aveva nel mirino Monaco, il suo sogno fin da bambino. E aveva 15 anni. Xhonist Ballhysa (in foto) ora è uno di quelli che ce l'hanno fatta.
Caporeparto del settore pizze al Sosi, ha raggiunto i 10 anni di permanenza in Italia. «Posso anche chiedere la cittadinanza». Lo dice e si capisce che è contento. Ma se l'è sudata, la vita che ha agguantato. «Beh, pure gli educatori dell'Appm hanno sudato, con me. Ma li sento ancora ed è bellissimo».
Com'è andata quando sei arrivato a Trento 10 anni fa?
«Mi hanno subito preso gli agenti della polizia locale. E mi hanno portato in comunità. Lì ho conosciuto l'Appm. I primi 10 mesi sono stati difficili».
Perché?
«Avevo problemi con l'assistente sociale, c'era la questione dei tempi. E poi ero abituato ad essere l'uomo di casa. In Albania vivevo con mia mamma e mia sorella, lavoravo da quando ero molto piccolo. Mi sono trovato di colpo fermo, non facevo niente, non sapevo la lingua, dovevo fare le faccende di casa, pulire. E avevo la testa dura».
Difficoltà con le regole?
«È stato tanto difficile. Dopo 10 mesi mi hanno trasferito a Povo, e ho iniziato il tirocinio al Sosi, che mi è servito molto. Era tutto gratuito: non avendo studiato, dovevo imparare in qualche modo. Poi però ho iniziato anche la scuola, il pomeriggio, il Rosmini e il tirocinio è diventato un apprendistato».
Scuola e lavoro, duretto.
«E calcio: giocavo in una squadra. La mia giornata iniziava alle 4, tornavo alle 7 di sera e riuscivo subito per l'allenamento. Mi piaceva e mi serviva per scaricarmi».
Mai pensato di mollare?
«La mia vita è stata così per un anno e mezzo. E non so quante volte ho pensato di lasciare il lavoro. Anche Stefano Sosi è stato bravo con me: all'inizio anche col lavoro, con i colleghi, non è stato facile, lui è stato tanto paziente. E poi all'Appm trovavo sempre qualcuno con cui parlare. All'epoca non lo capivo, adesso so quanto è stato importante potermi sfogare. Io avevo degli obiettivi, volevo raggiungerli».
Lo hai fatto?
«Sì. Volevo che mia sorella studiasse, sono riuscito a pagarle l'università, adesso è professoressa, in Albania, ha un bambino. Mia mamma è venuta qui, ora vive con me».
Dev'essere orgogliosa.
«Sì, lo è».
E tu lo sei?
«Beh, io vedo tutto quello che è stato. Se avessi saputo con precisione cosa avevo davanti, non so se sarei partito. Però posso dire che ne è valsa la pena».
A chi arriva ora cosa dici?
«Quando me lo chiedono, io vado all'Appm a parlare con i ragazzi, a volte serve. È giusto che capiscano che niente è dovuto, ma che se ci mettono buona volontà, possono arrivare anche a cose grandi, belle, con tanto significato».
E Monaco? L'hai più visitata? In 3 ore di treno ci sei.
«No, Trento non la lascio più. A volte credo che la vita ti porti dove ti trovi. Va bene così».