La Vallagarina riprova con il biologico
Rovereto e la Vallagarina tra le «Terre del pane, cibo delle Alpi». Territori che tendono al biologico 100% per assecondare la voglia di una vita più salutare, partendo da ciò che coltiviamo e mangiamo per arrivare alla riduzione dell’inquinamento, ed anche per mostrare al turista che cerca un ambiente pulito che questo è il luogo ideale. Un’utopia? Forse. Del resto, si diceva venerdì mattina nella sede della Comunità di valle dove si sono incontrati i rappresentanti di associazioni ed enti legati al biologico trentino, l’uomo vive anche di sogni. Ed in ogni caso la domanda di cibi biologici ed anche di uno stile di vita diverso c’è ed è in aumento. È un fatto reale, una fetta appetitosa del mercato. Rappresenta il futuro di molti comparti secondo gli attori che hanno animato la tavola rotonda ed è la strada da percorrere, anche se disseminata di ostacoli.
A proporre il confronto sul tema è stato Angelo Giovanazzi, presidente della scuola di scienze gastronomiche alpine Baldensis che in Vallagarina si è fatta conoscere negli ultimi anni con una serie di iniziative sul tema. L’ultima, a dicembre, quando nell’ambito della giornata dei migranti è stato un laboratorio di panificazione particolare. Il pane, simbolo di condivisione, quel giorno era stato proposto in 30 modi diversi, frutto di tradizioni regionali ed etniche. Ora l’associazione Baldensis vorrebbe partire dal pane per cercare di costruire la filiera biologica: «Con un corso di agronomia bio dei cereali di monte, eventi e laboratori di panificazione e un ricettario narrante» spiega Giovanazzi.
«C’è ancora tanto da fare» frenava ieri però Sergio Tecchioli, panificatore che, tra le altre cose, partecipa al progetto avviato dall’associazione Goever in valle dei Laghi. «Non è semplice, ci proviamo da anni. Mancano le materie prime però perchè la coltivazione dei cereali è partita a macchia di leopardo». «Quella dei cereali in Trentino è una filiera povera» continua Enzo Mescalchin della Fondazione Mach. «I terreni da recuperare ci sarebbero ma il loro recupero è legato alla passione delle persone perché il margine di guadagno è davvero poco. Non ci sono le macchine adatte per poterlo lavorare e non ci sono mulini certificati biologici. Di conseguenza la possibilità di profitto è molto limitata. Ecco perché il coinvolgimento delle figure istituzionali è importante».
Vecchi mulini restaurati ce ne sono, ma nessuno è funzionante. «La filiera va strutturata in maniera razionale - suggerisce Mescalchin - altrimenti rimane episodica».
La «sveglia» al mondo del biologico trentino ieri ha cercato di darla Federico Bigaran, referente dell’ufficio biologico della Provincia di Trento. «Se non ci svegliamo compreremo il biologico dagli altri», ha esortato. «Se noi guardiamo soltanto l’aspetto economico facciamo fatica a trovare dei valori positivi nel biologico, essenzialmente perché le coltivazioni bio producono meno. Ma i valori aggiunti di questa pratica sono maggiori del valore delle coltivazioni. Questa e la filosofia bio». Rispetto ad un decennio fa per Bigaran «il biologico è in crescita, il concetto è entrato nelle teste della gente e le richieste sono alte».
I propositi sono buoni, gli ostacoli molti ma anche la voglia di fare secondo quanto emerso dal confronto di ieri. Per fare un passo avanti manca una regia, un coordinamento, che Atabio, l’associazione intersettoriale dei produttori, dei trasformatori e dei consumatori biologici e biodinamici, aveva già provato a fare. «Con scarsi risultati, nonostante il rinnovo del direttivo» ammetteva ieri il consigliere Marco Cimonetti. «La domanda c’è ma soprattutto qui in Trentino c’è grande difficoltà ad organizzare l’offerta. Noi ci siamo, ma serve più partecipazione».