Nomi: prove del concerto sospese perché disturbavano la Messa
Quasi novant'anni dopo i Patti Lateranensi, un nuovo concordato tra Stato (inteso come ente pubblico, in questo caso Comune) e Chiesa (intesa come parrocchia) è stato stipulato sabato a Nomi. E non sono certo servite carte bollate o chissà quale atto giuridico visto che è bastata, come sempre da queste parti, una stretta di mano.
Potere temporale e potere spirituale hanno infatti impedito una frattura e consentito, con mediazione e buonsenso, che fedeli e rockettari potessero giovare ognuno della propria passione senza rovinare la festa all'altro.
Teatro dell'evento democratico, che di questi tempi fa pensare al miracolo (in senso laico ma pure celestiale), è stato il paese di Nomi e, nello specifico, la piazza delle Feste che, all'occorrenza, diventa pure del Popolo (se la ribalta è politica). Nel fine settimana l'agorà adiacente alla chiesa della Madonna della Consolazione ospitava «Nomi on the Rock», tradizionale happening estivo per gli amanti della musica forte. E sabato il clou era il concerto della Bandabardò, formazione folk rock fiorentina che calca le scene da un quarto di secolo.
Orbene, in orario di «sound check» (le prove prima dell'esibizione), era in corso la celebrazione della Santa Messa e i volumi dal palco disturbavano quelli assai più lievi dell'altare. Che fare per consentire la convivenza? Presto fatto: un concordato per sospendere le prove durante la funzione religiosa e riprenderle all'«andate in pace».
Per la cronaca, il concerto ha fatto decisamente il botto, con la piazza stracolma di gente e un'ottima gestione del traffico da parte delle forze dell'ordine, vigili del fuoco volontari su tutti.
Tornando alla «sordina» decisa per rispettare chi era in chiesa a pregare è la dimostrazione che parlandosi e non tirando su muri è possibile condividere lo stesso mondo. Certo, qualcuno, allo slittamento delle prove della Bandabardò, ha ironizzato sul presunto diktat del parroco don Enrico Setti. E vista la zona ci poteva stare. Perché la storia di Nomi è piena di simpatici sfottò ma pure di concordati tra Chiesa e potere politico. Non a caso, c'è stato un tempo in cui il vivace borgo al di là del grande fiume era ritenuto la Brescello del Trentino. E le memorabili gesta di celluloide di Peppone e don Camillo trovavano ristoro nel paesello della Destra Adige, dove l'Emilia pareva aver piazzato una sua propaggine.
Quello per anni è stato «il» Comune rosso e ha vissuto battaglie epiche ma il cuore grande delle gente generosa che discute ma poi ride sorseggiando un buon bicchiere di vino non poteva non aprirsi al richiamo celeste. La storia, in questo caso, è nota e risale a trent'anni fa, quasi giurassico considerando come si è abbassata ultimamente la scala dei valori sociali e della condivisione.
Comunque correva l'anno 1987 e, udite udite, cetini e mangiapreti si sono rimboccati le maniche insieme per perseguire il medesimo fine, lasciando la politica in disparte. Il fine comune, in quel caso, altro non era che la ristrutturazione della chiesa. E la soluzione trovata da parroco e sindaco ha rispolverato i compianti Fernandel e Gino Cervi che si sono materializzati in Vallagarina per offrire una nuova avvincente storia di intrecci cattocomunisti.
La giunta era rigorosamente del Pci, con sindaco Rinaldo Maffei. Dall'altra parte della barricata, a rappresentare il Vaticano, c'era il parroco don Giulio Viviani.
Un bel giorno è successo il «fattaccio»: mentre don Giulio si apprestava a riassettare la sagrestia, dal soffitto della chiesa si è staccato un grosso pezzo di calcinaccio che è finito sull'altare maggiore. La casa di Dio, filiale di Nomi, d'altro canto era messa male e c'era il forte rischio che altri pezzi colpissero magari i fedeli durante la messa domenicale. Che fare? Il Comune, per evitare guai, dichiarò inagibile la chiesa e la chiuse. In paese si fece un gran parlare: «La giunta rossa blinda la chiesa vietando ai cattolici di assistere alla funzione religiosa».
Risate a parte, si decise di sotterrare l'ascia di guerra: cattolici e comunisti si misero assieme per affrontare il problema e le varie associazioni del paese si riunirono per dedicarsi anima e corpo alla causa della chiesa. Perché servivano soldi, tanti soldi. Ecco dunque la proposta: una partita di calcio tra fedeli (preti compresi) e amministrazione comunale per raccogliere fondi. Allo «stadio», manco a dirlo, fu «sold out» con un tripudio di mani protese per infilare tante lire nel cesto della sistemazione del tempio religioso del paese. Per la cronaca l'incontro di calcio finì tre a tre, con il placet della Curia e del Partito.