Sette profughi si raccontano alla comunità di Strigno
Il più giovane ha 21 anni. Arrivano dal Mali (quattro) e dalla Nigeria (due). Alcuni di loro sono sposati, con moglie e figli rimasti in patria o in Algeria in attesa di poter ricongiungersi in Italia. Il più vecchio ha 32 anni. Sei storie, altrettanti racconti di violenze, soprusi e violenze con un unico comune denominatore: fuggire dall’Africa, dalla guerra che da decenni sconvolge i loro paesi.
A Strigno Moussà, Sancarè, Salif, Biuss, Ibrahim e Eseosa sono arrivati da alcune settimane. E giovedì sera, su iniziativa del parroco don Armando Alessandrini, hanno voluto incontrare la comunità. Tanta, tantissima gente nella sala della canonica all’oratorio. Tanta voglia di conoscersi, di farsi conoscere. Con il parroco, a fare gli onori di casa, Roberto Calzà e l’operatore di riferimento Marco Baino che fin dal loro arrivo sta seguendo, passo dopo passo, l’inserimento dei richiedenti asilo politico in paese. «Da quando sono arrivati - ricorda il bibliotecario di Strigno Paolo Borgatta - hanno subito cercato di inserirsi e da alcuni giorni hanno iniziato anche un corso per imparare l’italiano».
Ad ascoltarli l’intero mondo dell’associazionismo locale: il gruppo missionario di Scurelle, l’Us Spera, il gruppo teatrale Tarantàs, l’Avulls di Strigno, l’Ortigaralefre, la Banda Civica Lagorai, il coro parrocchiale di Strigno, l’oratorio di Scurelle ed il coro giovanile di Scurelle e Strigno. Si respira aria di solidarietà, accoglienza e condivisione. C’è chi chiede di saperne di più sulla loro presenza e sul tipo di progetto che si sta portando avanti. In sala anche il consigliere della Lega Nord di Borgo Stefania Segnana ed alcuni attivisti.
«Sono arrivati da pochi mesi - ricorda Baino - e nel giro di 18-24 mesi ognuno di loro conoscerà il suo destino. Ma la metà dei profughi arrivati in Trentino, in questi ultimi anni, se ne sono andati». Diversi di loro, lo hanno ribadito più volte, vogliono costruirsi un futuro migliore. Qui in Italia o altrove. Ma in Mali e in Nigeria non vogliono tornare. Dai loro racconti si capisce che hanno sofferto. C’è chi è fuggito dalla guerra, chi lo ha fatto perché rimasto solo. La famiglia è stata sterminata, case e terreni rubati. Alcuni arrivano dalla regione del Gao ed hanno vissuto anche in Algeria e Libia, paese quest’ultimo dove quasi tutti hanno lavorato. «Ma venivamo maltrattati, derubati e picchiati».
C’è chi vissuto la sua adolescenza in strada. Poi, per tutti, è arrivato il viaggio della speranza. Dalle spiagge libiche con destinazione Italia. Chi è sbarcato in Calabria, i più, chi sulle coste siciliane. Poi l’arrivo al campo profughi di Marco. E, dopo la metà gennaio, il trasferimento a Strigno, in Valsugana. Altri sedici richiedenti asilo politico vivono in alcune case private a Borgo. Altri, ancora, sono ospitati anche a Torcegno e Novaledo. A Strigno vivono Moussà, Sancarè, Salif, Biuss, Ibrahim e Eseosa. C’è chi ha lavorato in un autolavaggio, chi ha fatto il contadino, l’autista, l’allevatore, il meccanico e l’agricoltore. Tutti e sei vanno a scuola, amano lo sport, soprattutto il calcio ma anche l’atletica e la boxe. Stanno imparando l’italiano e diverse associazioni si sono rese disponibili per accompagnarli in questo periodo di permanenza in Valsugana.
«Mi chiedo perché qui in Italia arrivano solo uomini e non donne e bambini - ha chiesto Stefania Segnana. Basta leggere e conoscere un po’ la storia, anche quella trentina - ha replicato Paolo Borgatta - per sapere che anche per i nostri antenati era stato così. Prima se andavano gli adulti, in cerca di fortuna, poi, se c’erano le condizioni, avvenivano i ricongiungimenti familiari. Qui in Italia c’è pace, c’è serenità e non c’è guerra - hanno ricordato tutti e sei - e ci trattate bene. Vogliamo un futuro migliore, qui o altrove, per noi e per le nostre famiglie».