Costretta a digiunare anche se incinta: condannato un marocchino che vessava la moglie
I maltrattamenti andavano ben oltre un'interpretazione errata del Ramadan. Anche in mesi ordinari la donna veniva maltrattata e segregata.
TRENTO. Un cittadino marocchino quarantenne, residente in Valsugana, è stato condannato per maltrattamenti in famiglia: è accusato di aver trasformato in un inferno la convivenza di coppia. Lui fervente musulmano, lei originaria dell'Europa dell'Est, due mondi che non si incontravano.
La donna - tra l'altro - veniva costretta a digiunare durante il mese del Ramadan benché fosse in stato di gravidanza. L'imputato pretendeva di essere devoto ad uno dei cinque pilastri della religione islamica - il mese del digiuno - ma ha dimostrato di non conoscere la fede musulmana. Le donne in gravidanza, infatti, non sono tenute a rispettare questo precetto religioso e così anche le donne durante l'allattamento, i malati, i bambini, le persone molto anziane.
I maltrattamenti andavano ben oltre un'interpretazione errata del Ramadan. Anche in mesi ordinari la donna veniva maltrattata e segregata. Prima di andare al lavoro l'imputato ordinava alla compagna di occuparsi delle faccende domestiche. Al momento di uscire chiudeva a chiave la porta di fatto impedendo alla compagna di uscire da quella che era diventata una sorta di prigione domiciliare. Qualora al rientro del compagno l'appartamento non era a posto come lui aveva ordinato, l'uomo cominciava ad urlare e a lamentarsi. Stando alla querela della parte lesa, accadeva spesso che il compagno-padrone rincasasse arrabbiato, insultando senza motivo la sua compagna.
Quest'ultima per mesi - tra maggio e agosto 2017 - sopportò in silenzio una convivenza da incubo. In uno slancio di magnanimità, durante l'estate di quell'anno l'imputato permise alla compagna di trascorrere qualche giorno di vacanza al mare insieme alla madre di lei. Ma al ritorno la poveretta si trovò a fronteggiare una convivenza ancora più difficile. L'uomo decise di liberare l'appartamento in cui i due alloggiavano portando la compagna a vivere in una casa priva dei sevizi essenziali: non c'era elettricità, non c'era acqua e non c'era gas. L'uomo giustificò l'improvviso trasloco spiegando che nell'appartamento occupato sino a quel momento doveva entrare la sorella di lui. In realtà pare che non si trattasse di una sorella, ma della moglie dell'odierno imputato con i figli della coppia. Di questa sua famiglia "ufficiale" l'imputato aveva sempre nascosto l'esistenza. Ma la nuova collocazione abitativa non ha fatto venir meno i maltrattamenti. La compagna veniva tenuta sempre sotto stretta osservazione e non riceveva neppure denaro sufficiente per vivere. In una occasione - si precisa nel capo di imputazione - lui si presentava a casa della compagna molto arrabbiato per aver fatto un incidente in macchina. Benché la donna non c'entrasse nulla con l'incidente sfogò la sua ira sulla poveretta spingendola e facendola cadere a terra sulla pancia benché fosse in avanzato stato di gravidanza.
Tutto ciò è andato avanti finché, grazie anche all'aiuto di una ragazza del posto, la donna ha deciso di lasciare l'inferno domestico trovando scampo in una casa rifugio. A quel punto la donna ha avuto la forza di presentare querela contro il suo compagno-padrone. L'uomo è stato processato e condannato dal Tribunale di Trento per maltrattamenti in famiglia a 10 mesi e 20 giorni di reclusione.