Primiero, il dottor Piechele va in pensione: 1.500 pazienti senza medico, come in altre 20 zone del Trentino
La sanità territoriale annaspa, e l’Azienda Sanitaria non ha nemmeno avvertito i suoi pazienti della cessazione. Un sostituto c’era, ma alla fine ha rifiutato il posto
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PRIMIERO. Giovedì è stato l'ultimo giorno di lavoro del dottor Cristiano Piechele. Dopo quattro decenni di servizio, infatti, ha messo da parte il camice, per la meritata pensione. Speriamo che a nessuno dei suoi assistiti, leggendo la notizia sul giornale, venga un colpo. Sì, perché da parte della Azienda provinciale per i servizi sanitari (Apss), nessuno si è preso la briga di comunicare ai suoi 1.500 pazienti che da oggi sono senza il loro riferimento primario e come procedere per il cambio medico e continuare a ricevere assistenza sanitaria.
Sarebbe stato nostro desiderio intervistare il dottor Piechele per ripercorrere un capitolo importante che si chiude, ricco di esperienze, traguardi raggiunti e un affetto sincero per la professione che ha svolto con passione. Sì, perché il dottor Piechele lascerà un segno indelebile nella memoria di coloro che ha assistito, custodendo per sempre le gioie, le soddisfazioni e le sfide che ha affrontato nel corso di quarant'anni al fianco dei suoi assistiti.
Invece, le domande hanno dovuto vertere sul "buco" nella copertura assistenziale e comunicativa, dal momento che non abbiamo ricevuto risposte dagli organi competenti. Con pazienza e diplomazia, ha cercato di spiegare la situazione.
«Quest'anno a Primiero un medico è andato in pensione e i suoi assistiti sono stati divisi sugli altri sei rimanenti, me incluso. Ora è il mio turno, ma i colleghi non riescono ad assorbire tutti i miei assistiti. Si deve trovare almeno un altro medico».
Finora non è ancora stato trovato, giusto? «Esattamente. Il 14 dicembre i vertici della sanità trentina si sono incontrati per individuare le aree carenti e hanno trovato solo quattro medici disponibili in tutto il Trentino per ben venti località. Per Primiero era stata indicata una persona, che però per problemi personali e logistici ha dovuto dire di no. Era lo scorso 19 dicembre».
Dal 19 dicembre ad oggi, gli assistiti non hanno ancora ricevuto alcuna comunicazione da parte della Apss. Dottore, ma non le sembra una situazione fantozziana? Oltre alla beffa per 1.500 pazienti, rischiamo che i vertici addebitino le colpe per la situazione creatasi ai professionisti che non accettano certi contratti. E ora?«I cittadini dovranno fare una scelta; per quelli che resteranno fuori, non si sa. C'è una possibilità, ma è l'opposto di quello che dovrebbe essere. I medici potrebbero decidere di aumentarsi il numero massimo di pazienti a 1.800, ma a mio avviso sarebbe da ridurre a 1.000 soprattutto dopo il Covid. Nel frattempo l'alternativa è rivolgersi alla guardia medica, costretta ad operare su tutta la popolazione dalle 20 alle 8».
Insomma, un ultimo giorno di lavoro amaro. Il suo cellulare continua a squillare, lei risponde come se fosse un giorno qualsiasi.
«Doveva essere un giorno di festa, ma, date le circostanze, non sono contento di andare in pensione. Comunque, un medico in pensione non va mai, ci sarà sempre qualcuno che chiama. Nell'immediato, mi toccherà stare calmo e seguire chi resta senza assistenza, io non sono un dipendente pubblico che terminato l'incarico, termina il servizio. Da parte mia, ai miei pazienti più gravi non negherò mai il supporto, vero è che non potrò più fare ricette, ma non me la sento di abbandonarli, conosco tutta la loro storia da 40 anni».