Conte ora in campo: rebus di una candidatura
C’è un prima e un dopo nella breve carriera politica di Giuseppe Conte: è il discorso con cui, ormai a tarda sera, il premier ha deciso di rispondere colpo su colpo a Matteo Salvini.
Facendo una scelta che sa di discesa in campo, oltre che di strenua difesa delle istituzioni. Perché se il futuro di Conte una volta che avrà terminato il suo mandato resta un rebus, sospeso tra una candidatura a capo di una sua lista o con il M5S e un passo di lato definitivo, da qui alla seconda metà di agosto premier non arretrerà di un centimetro, assumendo appieno le sue funzioni da capo dell’Esecutivo. Il destino di Conte, inevitabilmente, si incrocia con quello del M5S.
I rumors sulla presentazione di una «lista Conte», che ai tempi d’oro del governo del cambiamento, secondo qualche sondaggio informale, viaggiava al 10%, crescono con l’avvicinarsi della caduta del governo.
Ma c’è un’altra opzione, per ora remota: che Conte diventi una delle frecce all’arco del M5S. Un’ opzione che, evidentemente, segnerebbe anche la linea della prossima campagna elettorale: più moderata, meno gridata, meno basata sul «Vaffa». Gli indizi, in queste ore, restano confusi. Il M5S, con molti parlamentari che si dicono «sollevati» dallo strappo di Salvini, sembra in realtà intenzionato a tornare allo spirito dei fondatori.
Nicola Morra, su Facebook, ad esempio prima evoca le Termopili e poi bolla Salvini come un «dittatore». Il senatore M5S è tra i presenti al gabinetto di guerra convocato ieri pomeriggio da Luigi Di Maio. E al tavolo tornano a sedere i colonnelli di un tempo: da Alessandro Di Battista a Paola Taverna fino a quel Massimo Bugani con cui solo pochi giorni fa Di Maio aveva strappato.
C’è anche l’ala governativa (i capigruppo, Bonafede e Fraccaro, Cancelleri, tutti al secondo mandato) e c’è Davide Casaleggio, il cui post, nel pomeriggio di ieri, innesca l’irritazione di una parte dei parlamentari: non si capisce a che titolo detti la linea e il timing, è il ragionamento che emerge.
La questione del candidato premier, nel M5S, è ancora un tabù. Al momento, anche con una deroga al doppio mandato, non si può escludere che non sia Di Maio a correre contro Salvini. Nè sembra che possa esserlo Alessandro Di Battista, sebbene l’ex deputato sia destinato a fare il frontman della futura campagna. È in questo quadro che si inserisce il ruolo di Conte, lodato in queste ore da diversi parlamentari M5S e considerato da uno degli uomini più vicini a Gianroberto Casaleggio, Aldo Giannuli, come l’unico in grado di fermare Salvini.
Di certo, finché resterà a Palazzo Chigi, Conte darà filo da torcere al ministro dell’Interno. Il premier non vorrà mancare all’appuntamento di Genova del 14 e non ha ancora rinunciato all’idea di partecipare al G7 del 24 agosto arrivando ad essere lui a finire la trattativa sul commissario Ue.
A quel punto, c’è da giurarci, non sarà certo un leghista ad essere indicato da Conte. Perchè se c’è una cosa che in queste ore unisce Conte e il M5S è il nemico, e si chiama Matteo Salvini. E le altre forze politiche? Chissà che non valga il vecchio adagio, secondo il quale il nemico del mio nemico è un mio amico.