Parigi critica Londra: accolgono pochissimi profughi ucraini, crisi al porto di Calais
Il premier Boris Johnson fa annunci roboanti sul sostegno bellico a Kiev, ma intanto la Gran Bretagna finora ha aperto le porte a circa 1.300 persone in fuga dalla guerra, circa venti volte meno di quanto ha fatto un Paese come l'Italia
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TRENTO. Il premier Boris Johnson fa la voce grossa contro Mosca, ma intanto la Gran Bretagna non sta accogliendo profughi ucraini, se non col contagocce: in una settimana trecento arrivi, quando in Italia erano già poco meno di 25 mila solo nelle cifre ufficiali (senza cotnare i non pochi viaggi privati).
Ieri il governo di Boris Johnson ha prova ad accelerare: gli ingressi sono stati mille.
Ma intanto a Calais, sul lato francese del canale della Manica, peggiora l'emergenza, a fronte di questo atteggiamento britannico.
Londra, è criticata per questo stop and go, dopo aver promesso una politica di porte aperte generosa finora solo a parole e approvato una legge ad hoc che sulla carta dà diritto di visto e di sbarco a qualunque cittadino ucraino abbia parenti già residenti sull'isola; ma il numero totale delle persone fatte concretamente arrivare al momento resta decisamente basso rispetto agli altri Paesi europei.
Siamo oltre i limiti dell'imbarazzante per la retorica di una compagine Tory che su altri terreni - dal sostegno politico a quello militare o diplomatico manifestato nei confronti di Kiev - si vanta invece d'essere in posizione di avanguardia sugli alleati occidentali della Nato.
E che può far leva sull'asse personale creatosi fra il primo ministro e il presidente assediato Volodymyr Zelensky.
Nemmeno la gratitudine testimoniata verso "Boris" dallo stesso Zelensky nel suo accorato discorso in video collegamento da Kiev al Parlamento di Westminster basta infatti a cancellare la polemica interna sui ritardi e le vessazioni burocratiche denunciate nei riguardi dei profughi.
Polemica ripresa ieri nel Question Time alla Camera dei Comuni dalle opposizioni laburista, liberaldemocratica, indipendentista scozzese, come da alcuni deputati di maggioranza. Uniti nell'invocare un minimo di maggior efficienza e umanità.
Cifre alla mano il Regno ha lasciato entrare in effetti sinora meno di un decimo dei 17.700 sfollati ucraini (incluse donne e bambini) che ad oggi risultano aver presentato richiesta.
Malgrado il coinvolgimento dell'apparato militare della Difesa al fianco di un arrancante Home Office (il dicastero dell'Interno), l'apertura di sportelli consolari extra nelle nazioni confinanti (Polonia, Romania, eccetera) o l'affannata creazione di un centro volante per il rilascio di visti a Lille, nel nord della Francia, non lontano dagli accampamenti di Calais in cui si affollano non pochi richiedenti asilo in attesa di risposta da oltre Manica. "Stiamo lavorando per risolvere i problemi", ha detto ai Comuni il titolare della Difesa, Ben Wallace, riecheggiando le parole di Johnson, della ministra degli Esteri, Liz Truss, nonché le rassicurazioni sul "trend odierno in miglioramento" date dalla baronessa Susan Williams, viceministra dell'Interno, alla Camera dei Lord.
Resta tuttavia l'evidenza d'un ritardo grave - "una vergogna per il Paese", secondo l'inviato del giornale progressista Guardian alla frontiera romeno-ucraina - se paragonato ai primi dati su quanto fatto in questa medesima fase iniziale da altri Stati: la Polonia in primis, alle prese ormai con 1,3 milioni di fuggitivi su un totale di oltre 2 milioni in quanto territorio anche di transito, ma pure la Germania (decine e decine di migliaia di persone già accolte), l'Italia (vicina a quota 24.000) o persino la piccola Irlanda (che si avvia a 3.000).
Confronti ingiusti, tenta di replicare BoJo, notando come il Regno Unito del dopo Brexit non possa e non voglia rinunciare al controllo di un proprio sistema di visti autonomi non facendo parte della rete dei Paesi Schengen ed essendo ormai fuori anche dalla rete collettiva Ue sulla sicurezza.
Anche per scongiurare il timore d'infiltrazioni di ipotetici finti profughi manovrati da Mosca, "conoscendo quanto spregiudicati possano essere i metodi del presidente Putin".
Il ministro dell'Interno francese, Gérald Darmanin, che oltretutto è proprio un politico del Nord della Francia, ha criticato "la risposta totalmente insufficiente" e la "mancanza di umanità" della Gran Bretagna nei confronti dei rifugiati ucraini rispediti a Calais, nel nord della Francia. Circa 150 ucraini in fuga dal loro paese invaso dai russi, hanno cercato di raggiungere le loro famiglie in Gran Bretagna negli ultimi giorni ma sono stati invitati dalle autorità di Londra a "fare dietro-front" e ad andare "a Parigi o a Bruxelles" per ottenere i visti presso i consolati, stando a quanto sostiene Darmanin in una lettera inviata all'omologa Priti Patel.