La Gran Bretagna svolta a sinistra: trionfo laburista, conservatori ai minimi storici
Gli elettori archiviano la lunga stagione del populismo di destra che ha condotto anche alla Brexit: fuori dall'Unione europea l'economia e la vita dei cittadini sono peggiorate, ora l'opinione pubblica chiede una nuova stagione. Al Labour moderato di Keir Starmer, secondo i primi exit poll, 410 seggi sui 650 della Camera. Ai Tories di Sunak solo 131 rappresentanti, 61 ai liberaldemocratici centristi e 13 all'eurofobico Farage
TRENTO. Ritorno al futuro sulla ruota di Londra. Se in Europa continentale c'è chi guarda a destra, l'isola della Brexit, che le ricette del populismo di destra vive da oltre dieci anni, sterza stavolta in direzione opposta: verso il centrosinistra, tornando ad affidarsi mani e piedi al Labour, sotto la leadership moderata di sir Keir Starmer.
Gli exit poll diffusi alle 23 di giovedì 4 luglio ingigantiscono le previsioni, assegnando allo storico partito della sinistra british una maggioranza enorme e la riconquista assicurata del governo: vanno ai laburisti con 410 seggi sui 650 della Camera dei Comuni.
Frutto anche dell'annunciatissimo tracollo dei conservatori in versione populista e antieuropea del premier uscente Rishi Sunak, affossati a quota 131, giusto un po' meno peggio delle stime più nere ma comunque il loro minimo storico: il record negativo precedente era stato raggiunto con le elezioni del 1906, quando il partito allora guidato da Arthur Balfour ottenne 156 seggi.
l Liberaldemocratici centristi di Ed Davey vengono proiettati a 61 e l'ultradestra di Reform UK di Nigel Farage, con più voti previsti rispetto ai LibDem, ma meno concentrati tra i seggi uninominali, per la prima volta porta a Westminster 13 deputati: un buon risultato per colui che era diventato il simbolo della Brexit.
E mentre nei collegi della Scozia, terra che nella Ue voleva rimanere, si certifica la caduta libera pure degli indipendentisti dell'Snp, da 48 ad appena 10, sempre a vantaggio del Labour.
Si tratta di un suggello sostanziale ai pronostici unanimi d'una campagna elettorale intensa, eppure priva di suspense: sfociata nel voto odierno ma apparsa decisa nei suoi esiti sin dal giorno uno della convocazione a sorpresa a fine maggio delle urne da parte di Sunak, con qualche mese in anticipo sulla scadenza naturale della legislatura.
Scommessa kamikaze destinata in effetti a far scoccare solo un po' prima del tempo l'ora di un risultato scontato, figlio d'un diffuso sentimento di rigetto da fine ciclo del partito di governo più che non della capacità d'attrazione dell'offerta programmatica - prudente quanto vaga - starmeriana.
Scenario che si traduce ad ogni buon conto in una svolta generazionale. Nella fine di quasi tre lustri di governi a guida conservatrice segnati da crisi, scossoni, scandali, lacerazioni interne e cambiamenti di leader, fra responsabilità proprie e conseguenze di terremoti internazionali; oltre che dai contraccolpi - almeno per ora largamente negativi - di quella sorta di gioco di prestigio che è stato il referendum del 2016 sul divorzio dall'Ue, sfociato nella Brexit.
Una svolta consumata nel nome del ritorno alla normalità, caratteristica per ora dominante del profilo da ex procuratore della corona prestato alla politica del 61enne Starmer; e che gli elettori desiderosi d'un cambiamento vero (oltre lo slogan elettorale indistinto del 'change') sperano non significhi normalizzazione.
Ma che certo prefigura una netta cesura rispetto agli istrionismi di un Boris Johnson, il più controverso e divisivo (ma anche simbolicamente significativo) fra i 5 premier della girandola Tory di questi 14 anni.
La super maggioranza in Parlamento che i primi dati ad urne chiuse confermano fragorosamente lascia del resto margini di manovra all'uomo incaricato ora di riportare le insegne del laburismo a Downing Street dai tempi di Tony Blair e Gordon Brown.
Un uomo emerso politicamente nella corrente intermedia della 'soft left', salvo spostarsi passo dopo passo su posizioni sempre più centriste, il quale tuttavia promette di lavorare a un miglioramento più equo delle condizioni di vita della "gente comune" come antidoto alla "minaccia populista".
Sebbene escludendo di voler cavalcare i contrasti sociali o riaprire ferite come la medesima Brexit, a cui fu a suo tempo contrario, ma che adesso non intende rimettere in causa.
Le priorità programmatiche immediate riguarderanno semmai l'avvio accelerato d'iniziative legislative ordinarie su temi ecumenici quali "la stabilità e il rilancio dell'economia", la sanità, l'edilizia pubblica, la sicurezza e il contrasto (senza piano Ruanda) "dell'immigrazione illegale".
Prevedibile anche un riavvicinamento alla Ue sotto forma di intese bilaterali che aprano le maglie delle relazioni transfrontaliere da vari punti di vista.
In un contesto, già benedetto dalle prime reazioni rilassate dei mercati e del business, a cui si affianca l'impegno alla continuità sulla trincea dei conflitti internazionali - sostegno senza quartiere all'Ucraina in primis - e alla lealtà a Usa e Nato.
Ai Tories toccherà ripartire intanto dal baratro, con un nuovo leader dopo l'addio inevitabile di Sunak. Per provare a riconsolidare almeno il primato indiscusso a destra, minacciato da Farage e dal suo Reform UK; e quello della leadership dell'opposizione parlamentare ai Comuni, avvicinato - in uno scrutinio comunque da incubo, senza precedenti in 190 anni di storia per il partito fondato da Robert Peel nel 1834 - dai redivivi LibDem.
Il cancelliere dello scacchiere Jeremy Hunt è tra i diversi ministri del governo conservatore britannico che, secondo gli exit poll, perderanno il loro seggio.
Secondo il sondaggio, Hunt è il Tory di più alto profilo destinato a rimanere escluso, con i Lib-Dem che sembrano destinati a conquistare il suo seggio nel collegio di Godalming & Ash.
Grant Shapps, ministro della Difesa, e Johnny Mercer, dei Veterani, potrebbero anche perdere nei rispettivi collegi. In bilico, secondo gli exit poll, pure Mark Harper (Trasporti), Mel Stride (Lavoro e pensioni), Steve Barclay (Ambiente) e Penny Mordaunt (leader dei Comuni).