Facebook, gli impostorie le passanti di De André
Un nome, una faccia. Questo siamo per il mondo. Chi ci conoscepiù da vicino sa, eventualmente, qualcosa di più su ciò che in realtàsiamo, pensiamo, desideriamo dentro quel nome, dietro quella faccia.
Un noto insegnante trentino si è trovato nome e faccia, a sua insaputa,sul libro delle facce della rete, insomma su Facebook. Ma non era statolui a dare il suo nome e la sua faccia. Era un altro che, utilizzandol'altrui identità, l'ha fatto diventare uno che non era: con gusti,passioni, inclinazioni e interessi diversi. L'insegnante ha dovutoricorrere alla polizia postale per stoppare l'alter ego abusivo.
Ha dovuto misurarsi con la difficoltà di dover dimostrare di non avervoluto esporre nome e faccia sul libro delle facce, di non essere luiquel "lui". Ha scoperto che i profili di milioni di nomi e di faccesono gestiti da un server fisicamente collocato a Palo Alto,California. Che ci sono problemi giuridici e tecnici complessi. Che perscoprire chi gli ha tirato quel brutto scherzo (mettendolo a disagiocon moglie, figli, amici e alunni) il giudice italiano dovrebbe appuntochiedere una rogatoria internazionale affinché si apra un'indaginenegli Stati Uniti e il gestore del libro delle facce sia invitato arivelare le informazioni di cui è in possesso sull'impostore.
Dopo qualche settimana di disagio, l'insegnante è riuscito comunque afar cancellare il profilo galeotto, pur scatenando la reazione delfalso lui, che ha rovesciato gli ultimi veleni via mail, ai conoscentidel prof. Il quale ora scrive: "Credo che questa vicenda ci imponga unaseria riflessione sull'uso della rete, che appare il luogo dellamassima libertà e anche dell'espressione di massima democrazia, ma cheal tempo stesso si presta a essere utilizzata per dar sfogo allascemenza o alla cattiveria".
Mettere le briglie al web appare un'impresa impossibile e tutto sommatosbagliata. Meglio gli eccessi della libertà di tutti, piuttosto che irischi dell'autorità di pochi. Ma un controllo più accurato delleidentità personali - tanto, siamo già tutti marchiati, numerati eschedati - potrebbe probabilmente evitare gli abusi più rozzi (comeappunto l'usurpazione dell'identità) senza mettere in discussione chel'aria di Internet - esattamente come l'aria delle città qualche secolofa - "ci rende più liberi".
Liberi di fare che cosa, però? Qui il problema diventa culturale,sociale, psichico. Perché milioni di esseri umani sentono il bisogno diesporre nome e faccia nei social network come Facebook, Netlog oMySpace, peraltro in crisi di bilancio perché costano troppo(permettendo a chiunque l'occupazione illimitata di enormi quantità dispazio elettronico di rete) e incassano poco? "Facebook ti aiuta amantenere e condividere i contatti con le persone della tua vita"recita il messaggio promozionale del network più famoso, anche perchéusato da Obama nella sua fortunata campagna elettorale.
E in effetti capita di incontrare persone adulte seriamente convintedella grande opportunità che il libro delle facce gli ha dato perritrovare compagni di classe scomparsi da decenni, ex fidanzate chehanno avuto nel frattempo altri fidanzati, nonché figli e nipoti, e poiamici di una sera risucchiati nell'oblìo, compagni di viaggio mai piùrivisti.
Una delle principali utilità di Facebook sarebbe dunque quella dirisparmiarti l'avventurosa catena di telefonate e di private indaginifino a ieri necessarie per organizzare una (divertente?) cena di classetrent'anni dopo la maturità. Che era poi la parte più appassionantedella cena, quella del prologo, quando si andava a scoprire che fineaveva fatto il tuo compagno che aveva studiato farmacia, era andato alavorare in Olanda, aveva forse sposato una finlandese (o era unalettone?) e poi aveva (legittimamente, liberamente) fatto perdere leproprie tracce.
E ancora: le persone incontrate e poi sommerse dal mare delladimenticanza, è proprio necessario e urgente che le andiamo aripescare? L'oblìo delle relazioni non è il segno che quei legami umanierano fragili, magari insignificanti e dunque meritevoli di abbandono?Non abbiamo tempo da sprecare in "socializzazioni" insignificanti, lavita è breve. Non è forse vero che, alla fine, gli amici e gli amoriveri si contano sulle dita di due mani, al massimo?
E invece ecco l'ebbrezza Facebook: poter esporre al mondo un album conle proprie facce (esibizionismo perfettamente fisiologico per unadolescente o per un candidato alle elezioni, un po' inquietante peruna persona qualsiasi, per un adulto con un lavoro, un ruolo sociale,una famiglia, una rete non solo informatica di conoscenze) e corredarlocon un album delle facce degli amici, anche di quelli che ti eridimenticato e adesso ritornano, come fantasmi rimaterializzati, persorridere al mondo dalla tua pagina e certificare che non sei unosfigato solitario.
Viceversa, uno che si intendeva - oltre che di amori e di amici - disolitudine, perché la riteneva fondamentale condizione anarchica dellalibertà personale - cantava così le facce (o meglio i visi, o meglio ivolti) che non ritornano.
Io dedico questa canzone
ad ogni donna pensata come amore
in un attimo di libertà
a quella conosciuta appena
non c'era tempo e valeva la pena
di perderci un secolo in più.
A quella quasi da immaginare
tanto di fretta l'hai vista passare
dal balcone a un segreto più in là
e ti piace ricordarne il sorriso
che non ti ha fatto e che tu le hai deciso
in un vuoto di felicità.
Cantavacosì Fabrizio De André (che ricorderemo domenica 11 gennaio,decimo anniversario del suo volare via, alle 20.30 al Teatro Sociale -a proposito, scrivete all'Adige i vostri ricordi legati alle sue canzoni,diventeranno un nuovo testo!), traducendo il grande Brassens.
Il bello delle belle passanti è che sono passate. Che possiamoricordarle, così, eternamente giovani, e non rischiare di rivederle conle rughe e gli impietosi passaggi del tempo e dell'estraneità, suFacebook. Tra milioni di facce che cercano di salvarsi dalla solitudinemoltiplicando le facce virtuali degli amici veri o presunti.
Allora nei momenti di solitudine
quando il rimpianto diventa abitudine,
una maniera di viversi insieme,
si piangono le labbra assenti
di tutte le belle passanti
che non siamo riusciti a trattenere.