1920, salvate il soldato Dellai

1920, salvate il soldato Dellai

di Paolo Ghezzi

Salvate il soldato Dellai. No, stavolta non si tratta delle sorti dell'Upt ma del destino di un Kaiserjäger con i baffi, di nome Arturo, perginese, due occhi svegli, intelligenti, la prova vivente che le cronologie ufficiali sono sempre discutibili: la grande guerra dal 1914 (1915, per gli italiani) al 1918? Magari: per il cacciatore imperiale Dellai Arturo, poi riconvertito a soldato dell'italico regno vincitor, la guerra non è stata grande, è stata lunga, interminabile. Sei anni in divisa, dal 1914 al 1920. Lunga anche nello spazio: quarantamila chilometri di odissea. Pergine - Leopoli - Kiev - Rostov - Kiev - Mosca - Kirsanov - Mosca - Vologda - Tientsin - Pechino - Tientsin - Krasnoyarsk - Tientsin e ritorno.

«Da Pergine a Pechino - Il diario di guerra di Arturo Dellai (1914-1920)» è un libro mitico fin dalla veste grafica: quei veri artisti dell'editoria (Publistampa) hanno perfino inserito una «taschina» di cartone sulla copertina per contenere la riproduzione fedele di un'agendina del Kaiserjäger. Ed è mitico per il testo - il diario di Dellai - e per la ricchezza dell'apparato iconografico che lo accompagna: cartoline, foto, documenti, memorabilia. Milioni di soldati travolti dalla bufera. Piccoli uomini sconvolti dalla grande storia, decisa da altri piccoli uomini, che però hanno i gradi di generale o il cappello da presidente o le fabbriche dei cannoni.

Nell'autunno 1919, quando la guerra è finita per il mondo e per la storia, ma non per schiere erranti di soldati-vittime, l'ex Kaiserjäger Arturo scrive: «Ma la rabbia aumenta. Quando arrivati a K. [Krasnoyarsk] ci danno la notizia che la guerra tra l'Austria e l'Italia è finita, Trento e Trieste sono passate all'Italia. La notizia porta una delusione a tutti gli italiani per lo più trentini, triestini e giuliani. Quasi mi pento di aver firmato quel maledetto foglio che ci prometteva di arrivare in Italia e mare e monti? L'Italia forse ci à abbandonati, non so proprio cosa facciamo qui in Siberia così lontani dall'Italia. Si deve combattere con gli amici Russi contro i Bolscevichi, ma qui non si vede nessuno e il freddo polare non ci permette di uscire dalle baracche».

Non c'è retorica, non c'è eroismo, nella prosa asciutta dell'Arturo Dellai, che nei documenti diventa spesso Dellay, a volte perfino con la umlaut sulla y (anche i cognomi oscillavano, nel tramonto di un impero, come le nazionalità): anche un evento epocale come la Rivoluzione russa e rossa resta sullo sfondo. La realtà quotidiana è il gelo siberiano, è la nostalgia di Pergine, è il disorientamento per la patria cambiata. «A dire il vero non capisco molto della situazione», confessa.

E, come spesso accade, è la musica che gli «salva» la vita. Da buon trentino, gli piacciono le bande, in quella di Pergine già suonava la tromba e, nel suo esilio forzato a Tientsin, in Cina, «messo al distaccamento Italiani Irredenti? in mezzo ai cinesi, francesi, americani, inglesi? al 6 di maggio (del 1918) con mia grande sorpresa sono chiamato a Pechino. La domanda fatta per entrare nella banda militare italiana è accolta e sono allievo presso la Musica del Distacamento della r. Marina Italiana in Pechino? Il 20 del mese prendo la paga di 2 dollari di quelli della Cina».

Che l'Italia serva a qualcosa. Taca banda. E lui attacca sui quaderni cartoline di esotici paesaggi ed enigmatiche ragazze cinesi. A casa, a Pergine, tornerà solo il 3 marzo 1920. Dobbiamo a suo figlio Luciano, colonna degli Amici della storia presieduti da Iole Piva, se questa preziosa piccola grande storia ora è patrimonio di tutti.

Se poi la rievocazione della grande guerra ci aiutasse a riconsiderare i piccoli destini personali, forse oggi ci batteremmo con più forza contro le guerre, gli esili, le prigionie, i fili spinati, i muri. In nome dei milioni di Dellai o Dellay dispersi, derelitti, demoralizzati, delocalizzati, deportati. Delusi.

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