Drammi sugli sci, troppi rischi: Incidenti causati da eccessiva confidenza
Un pendio di neve fresca, ancora immacolata, esercita sugli sciatori un'attrazione fatale. Ma in montagna bisogna anche saper rinunciare. Avere l'Arva e magari anche lo zaino con airbag è indispensabile, ma da soli questi dispositivi non bastano a salvarti la vita. Molto più efficace è saper rinunciare a lanciarsi su un versante ad elevato rischio di valanghe, in favore di una gita a minor tasso di adrenalina, ma più sicura. In montagna i morti sono spesso figli dell'imprudenza, o meglio dell'«overconfidence» come dimostra una ricerca condotta da Paolo Tosi (docente universitario, membro del comitato scientifico dell'Accademia della montagna e fondatore del sito «Overthetop») ed Enrico Rettore (anche lui professore universitario e ricercatore all'Irvapp) insieme ad un pool di psicologi.
Tosi, puntualmente con la neve arrivano le vittime delle valanghe. Eppure sul suo sito gli avvisi postati dagli scialpinisti erano chiari: occhio perché la situazione è pericolosa!
Il pericolo in questa fase in cui la neve non si è assestata e il vento crea accumuli è elevato. Ma su quanto accaduto a Passo Brocon preferisco non esprimere valutazioni perché non conosco i dettagli.
Perché la gente continua a cacciarsi nei guai, sembra che la neve fresca eserciti un'attrazione irresistibile...
A dicembre abbiamo organizzato un convegno intitolato «Matti per la neve». In quell'occasione abbiamo presentato una ricerca sugli errori cognitivi che in montagna possono costare molto cari.
Cosa significa errori cognitivi?
In sostanza abbiamo scoperto che molte persone che frequentano la montagna non sono consapevoli dei rischi a cui vanno incontro. In questi casi si parla di «overconfidence», un atteggiamento psicologico che naturalmente non vale solo in montagna.
Come siete riusciti a misurare il grado di consapevolezza dei pericoli?
La ricerca è stata condotta attraverso un questionario, sottoposto a 300 persone, disegnato per misurare alcune caratteristiche psicologiche del campione. In pratica abbiamo chiesto al soggetto intervistato se sarebbe andato a fare una certa gita in montagna a fronte di un certo grado di pericolo valanghe.
E cosa avete scoperto?
Accanto all'attitudine al rischio di chi va in montagna, che è consapevole, c'è appunto l' overconfidence, che è invece inconsapevole. Significa che spesso i pericoli non vengono adeguatamente considerati perché si è convinti di saperne più di quanto in realtà non si sappia. Banalizzando, è l'approccio di chi rischia visto che non gli è mai accaduto nulla pensando, erroneamente, di avere pieno controllo della situazione.
Quindi occorre sondare le valanghe anche da un punto di vista psicologico.
Di certo ora sappiamo moltissimo sulle valanghe e disponiamo di bollettini molto accurati. Eppure si continua a morire. Questo, oltre che con il gran numero di persone che frequentano la montagna, ha molto a che fare con la testa della gente. Come ha ben sintetizzato al nostro convegno la guida svizzera Werner Munter, un maestro per tutto quello che riguarda le valanghe, dopo aver scavato per anni nella neve ora dovremo anche scavare nella testa della gente.