Due «furbette» del cartellino licenziate dalla casa di riposo
Rimbalza dalla Cassazione una nuova storia di «furbetti» del cartellino puniti - legittimamente hanno stabilito i giudici - con il licenziamento. Protagoniste sono due ormai ex dipendenti di una casa di riposo che respingevano le contestazioni disciplinari paventando ipotetiche vendette o trappole. In realtà pare si trattasse di furbizia all’italiana, in questo caso sanzionata in modo rigoroso. Si è concluso infatti in modo favorevole alla casa di riposo il delicato contenzioso di lavoro che nei tre gradi di giudizio ha avuto fortune alterne.
È stato infatti confermato dalla Cassazione il licenziamento in tronco per due centraliniste di un’Azienda pubblica dei servizi alla persona di Trento che, per diciotto mesi, si erano fatte reciprocamente il favore di timbrare l’una il cartellino dell’altra. Questo almeno sosteneva il datore di lavoro. L’obiettivo di queste timbrature “disinvolte” sarebbe stato quello di maturare e godere di più giorni di riposo compensativo.
Ad avviso della Suprema Corte, non merita critiche la decisione con la quale la Corte di Appello di Trento, nel gennaio 2016, aveva ribaltato la sentenza del Tribunale di Trento che, nel 2015, accogliendo il ricorso delle due lavoratrici aveva invece ritenuto «non provate le anomalie» e le aveva reintegrate nel posto condannando l’Azienda a risarcirle.
Secondo gli “ermellini”, la Corte di Appello in maniera corretta ha dato il via libera ai licenziamenti dopo aver «ripercorso l’organizzazione e le modalità di effettuazione del servizio di centralino e delle prestazioni lavorative in questione, nonché di attestazione delle presenze, rilevando come nessun altro personale avesse gli stessi orari di turno dei centralinisti e che quando venivano effettuate le registrazioni oggetto di contestazioni era in servizio o la sola (omissis), o la sola (omissis)».
La turnistica del centralino, ricorda inoltre la Cassazione, «prevedeva due turni, dalle sette alle 13 e 30 e dalle 13 e 30 alle venti, sempre con un unico operatore, mai con doppia presenza.
Senza successo, le due centraliniste hanno sostenuto la tesi della «vendetta» per cui qualcuno avrebbe voluto «metterle in trappola». Passa in giudicato dunque un contenzioso in materia di lavoro che ha il sapore del monito: con i cartellini non si sgarra. Ancor più dopo l’entrata in vigore, oltre un anno fa, del decreto legislativo del governo Renzi che ha previsto, tra l’altro, possibilità di licenziare il dipendente dopo 30 giorni dall’accertamento della «falsa attestazione della presenza in servizio». Rischiano però anche i dirigenti che dovessero chiudere gli occhi di fronte a timbrature fraudolente o i dipendenti che hanno «agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta».