Domani i funerali di Etienne, la giovane guida alpina morta sul Pordoi: il dolore della famiglia e degli amici
«È dura. Era mio figlio». Non ne ha, parole, per esternare il suo dolore, Renato Bernard. Ma per il padre di Etienne a dire tutto è lo sguardo. Gli occhi, di padre e figlio, erano gli stessi. Intensi, penetranti
Quelli del ventisettenne morto al Pordoi brillavano per le stesse passioni che facevano accendere quelli di papà. E ieri, quando non ci sono stati più dubbi che quelli di Etienne si erano chiusi per sempre, si sono spenti anche quelli di Renato.
Un dolore composto, quello della guida alpina, ma lacerante. In quegli occhi, sempre intensi, sempre penetranti, ma colmi di smarrimento, ieri c’era la devastazione non solo per aver perso un figlio, ma anche per averlo visto morire facendo ciò che lui e mamma Petra gli avevano insegnato. A fare e ad amare.
Che la montagna fosse vita, del resto, per Etienne era una certezza molto prima che questo diventasse il grido d’aiuto simbolo della gente di montagna sui social, in questo inverno segnato dalla pandemia.
Per Etienne Bernard la montagna era sempre stata vita prima dalla nascita, inevitabilmente, poi per scelta propria, consapevole. A partire dalla scelta negli studi, che l’aveva spinto a scegliere senza indugi - lui, allora timido quattordicenne come lo ricordano i suoi docenti - di lasciare la Val di Fassa per il convitto a Tione, al Don Guetti: liceo della montagna.
Il funerale di Etienne Bernard è già stato fissato: la salma verrà trasferita a Campitello. La cerimonia con cui verrà salutato il ventisettenne sarà celebrata sabato 16 gennaio alle 14.30 nella chiesa parrocchiale del paese.
La montagna era la sua vita, lo ricorda anche la fidanzata Martina Scussel, maestra di sci bellunese di Fodom, di tre anni più giovane rispetto a Etienne: «In poco tempo sei riuscito a trasmettermi tutto l’entusiasmo che avevi, tutta quella voglia di vivere e fare ciò che amavi. Era bello condividerlo, ogni volta mi portavi in un posto nuovo, mi spronavi ad arrivare in cima perché sapevi quanto ci divertivamo poi a scendere insieme. Era la tua vita! E quel tuo sorriso rimarrà nel mio cuore, per sempre».
«Buon viaggio, anima bella», l’ha ricordato ancora la giovane bellunese con un post su Instagram, ieri pomeriggio: uno scatto recente, dei due giovani maestri tra le cime innevate.
Assieme a Martina, solo qualche giorno fa Etienne era stato sul Pordoi, affrontando il canale della Rondine. Del resto, se la montagna era la sua vita, il Pordoi era il suo giardino di casa.
«Non poteva che essere così, per un ragazzo nato e cresciuto a Campitello», ricorda commosso Bruno Pederiva, maestro di sci e guida alpina che di Etienne era collega. Di più: «L’Alta Fassa Guides l’avevamo creata proprio per i ragazzi. Per gente come Etienne e gli altri nostri giovani più validi. Era un ragazzo capace, serio, buono come il pane. Pagava a volte l’esuberanza della gioventù, ma che non sfociava mai nell’incoscienza. Anche affrontare il canale in cui ha perso la vita, quello a sinistra del torrione Roma, non è stato un azzardo per scialpinisti preparati come lui. È stata sfortuna, non eccesso. Voleva solo farsi una sciata. E non c’è più».
Ieri pomeriggio Pederiva ha raggiunto casa Bernard, lungo strèda Roma a Campitello, portando conforto a Renato Bernard e a Ivo, suo fratello, zio della vittima e sindaco di Campitello. È stato proprio questi, assieme al figlio, ieri poco prima delle 16, ad accogliere al cimitero di Canazei il feretro di Etienne, trasferito a valle dai vigili del fuoco volontari del paese dopo che l’elicottero l’aveva condotto dalle nevi del Pordoi al passo.
«Era parte della nostra bella gioventù, quella capace di trasformare le proprie passioni in opportunità, in lavoro», ricorda lo zio. «Mio fratello era profondamente orgoglioso di lui, delle sue scelte, del percorso che stava portando avanti. Era orgoglioso lui come lo eravamo tutti noi. La sua serietà la si è vista fino alla fine: era consapevole dei rischi che tutti corrono in montagna e non è un caso che abbia affrontato quella discesa da solo. Quando voleva misurarsi con situazioni nuove, dalle difficoltà elevate, prima di coinvolgere altri provava da solo. Per poter essere responsabile solo di sé stesso, senza mettere in pericolo gli altri».
«Era meticoloso, eravamo da sempre grandi amici ma anche sul lavoro, quando dovevo realizzare qualcosa in montagna, lui era il migliore», lo piange il coetaneo Jacopo Bernard, fotografo e videomaker oltre che rifugista al Vallaccia.