Adige Bitumi, ricorso respinto: ora deve smaltire 130 mila metri cubi di limo dalla cava
Dopo l’ispezione dei carabinieri del Noe, l’appello al Tar contro l’ordinanza di rimozione, ma ora bisognerà ripulire tutto (e la ditta pensa di trasportare tutto in Veneto)
MEZZOCORONA. La montagna di limo, per un'altezza di 23 metri e un volume di 130 mila metri cubi, in località Casetta a Mezzocorona va smaltita. Trattandosi di rifiuti, benché non pericolosi, il materiale non può rimanere neppure in parte presso il sito estrattivo di proprietà del gruppo Adige Bitumi. Il ricorso al Tar dell'azienda contro due ordinanze del comune rotaliano e contro la Provincia è stato respinto dai giudici amministrativi che dunque hanno anche "bocciato" la richiesta di risarcimento dei danni presentata da Adige Bitumi.
In particolare i ricorrenti chiedevano al Tar di annullare l'ordinanza firmata dal sindaco il 28 luglio del 2020 di "definitiva di rimozione dell'intero cumulo di materiale di circa 130.000 mc costituente rifiuto". L'azienda citava una prima ordinanza del Comune di Mezzocorona il cui progetto esecutivo prevedeva «che i limi vengano stoccati nell'area di cava in attesa di essere smaltiti sulla base di un piano di gestione; vi è previsto: che la produzione annua di limi sia di circa 8.000 mc/anno sui quali effettuare il test di cessione una volta all'anno e la caratterizzazione ogni due anni; che le scarpate del deposito di limo vengano riprofilate con un angolo non superiore a 25°; che vengano reimpiegati 61.000 metri cubi di limo prodotto dalla lavorazione dei materiali inerti per la costruzione del piano finale di ripristino e per la costruzione di tomo paramassi».
Indicazioni ben più favorevoli per l'azienda anche perché avrebbero permesso di lasciare in loco quasi la metà dei residui di lavorazione. Poi però è arrivata un'ispezione dei carabinieri del Noe che hanno stabilito che «il materiale depositato non rispetta le condizioni sopra elencate né per quantità accumulata né per configurazione del cumulo realizzato», ciò in quanto è stato stimato che «la quantità di limo depositato ammonti a circa 130.000 metri cubi».
La contesa amministrativa riguardava anche la qualificazione del materiale accumulato presso il sito di Adige Bitumi: secondo il Tar, ma anche secondo l'Appa, è corretto considerare il limo (accumulato e non riutilizzato) come rifiuto «e, conseguente, definizione come discarica del sito coinvolto.»
Il Comune di Mezzocorona nel luglio 2020 è dunque intervenuto con una seconda ordinanza molto più restrittiva. Ordinanza ora oggetto del ricorso presentato al Tar da Adige Bitumi senza miglior fortuna: il provvedimento - ritenuto legittimo dal Tribunale amministrativo - prevede la definitiva rimozione dell'intero cumulo. Nell'ordinanza il Comune sottolinea tra l'altro che «i complessivi circa 130.000 metri cubi sono risultati essere costituiti da residui di lavaggio di materiale proveniente anche da siti estrattivi diversi da quelli di Mezzocorona, quindi da materiale porfirico oltre a quello calcareo della cava di Mezzocorona».
I giudici amministrativi scrivono che non «può essere avallato il tentativo della ricorrente di minimizzare la circostanza che il cumulo si trovi nella parte nord-ovest dell'area di cava, e non nell'angolo nordest dell'area stessa, e ciò proprio in quanto tale circostanza è già, di per sé, sufficiente per dimostrare che il piano di gestione predisposto dalla ricorrente non risponde alle finalità indicata dalla normativa ai sensi del quale il gestore della cava attraverso il piano deve "assicurare lo smaltimento sicuro dei rifiuti di estrazione a breve e lungo termine"».
Certo lo smaltimento di una montagna di limo non è operazione delle più facili. L'azienda, ovviamente, si è già posta il problema. In sentenza è scritto infatti che «non vi è dubbio che il Comune di Mezzocorona debba provvedere sull'istanza formulata dalla ricorrente con la nota del 25 novembre 2020, con la quale, contestualmente alla presentazione del "piano di gestione dei rifiuti costituenti l'intero cumulo di circa 130.000 metri cubi" richiesto con l'impugnata ordinanza del 28 luglio 2020, ha chiesto al Comune di poter "mantenere i rifiuti di lavorazione nell'ambito della cava - anche alla luce dei risultati delle analisi che evidenziano la sostanziale assenza di elementi inquinanti - evitando il trasporto di così ingenti quantità di materiale nelle discariche presenti nel territorio che già presentano difficoltà di ricezione", ovvero, in subordine, di consentire il trasporto dei residui di lavorazione nelle altre cave gestite dalla ricorrente medesima nel territorio della Regione Veneto».