Consulta per la salute: “Non sappiamo quanti sanitari potranno reggere ancora"
Il presidente Renzo Dori in ansia: “Situazione critica, bisogna dirlo. Ci vogliono visione e assunzione di responsabilità. Tamponare continuamente non è la soluzione”
DENUNCIA "Carenza di personale, ora basta"
VIDEO La protesta in piazza dei sindacati
TRENTO. «Il sistema sanitario non ha mai vissuto una situazione di stress come questa. Dove è la visione? Dove è l'assunzione di responsabilità? Così non si può resistere a lungo: tamponare continuamente non è la soluzione. Qualcuno prima o poi dovrà rispondere. Si sta innescando un meccanismo che potrà portare a un aumento di morti improprie e a un aumento delle cronicità. E la politica non può non capire e non ammettere che la situazione si complica ogni giorno di più».
Renzo Dori, presidente della Consulta provinciale per la salute, parla in maniera pacata. Ma la sua preoccupazione emerge nettamente. La situazione della sanità è difficile. Ci sono gli aspetti politici e sindacali, ma da suo punto di vista e dal suo "osservatorio" la questione va affrontata per dare risposte agli "utenti finali". Ai cittadini, che saranno i pazienti.
Dori, il momento è molto difficile.
Siamo preoccupati. Prima della pandemia eravamo già ai limiti con il personale in affanno e il sistema era già in difficoltà. E si parlava di tagli alla sanità. Poi tutto è stato improvvisamente stravolto e l'organizzazione sanitaria si è bloccata. Ora siamo nella fase nella quale si intravede la ripresa della normalità, ma le sospensioni, lo stress accumulato e la coperta corta non lo permettono. Tamponare continuamente con spostamenti e riorganizzazione non è la soluzione, lo stress rimane.
Nei reparti diventa difficile garantire qualità e sicurezza.
I casi stanno emergendo, voi li rilevate quasi quotidianamente: i punti nascita, le periferie, i posti letto chiusi. Non so quanto possano reggere ancora gli operatori.
E in generale il clima che si respira non è favorevole.
È vero, è cambiato. Sono pochi, sono in affanno, vengono spostati. Non riescono a stare al passo con la domanda. E il paziente non soddisfatto andrà a richiedere nuove prestazioni a breve distanza.
In questo quadro le incertezze ai vertici non aiutano: 3 direttori in un anno e mezzo, una valanga di facenti funzione, deleghe e doppi incarichi.
Manca un'organizzazione interna che porti elementi di credibilità e autorevolezza. I primariati sono vacanti, pochi hanno tanti ruoli. Questo contribuisce a un calo delle motivazione. Durante il lockdown la collettività riconosceva gli sforzi e sosteneva il personale. Ora non è così. E bisogna interrogarsi seriamente su quanto si può resistere in queste condizioni.
In questa situazione qual è il ruolo della politica e dei vertici?
Ci vogliono visione e assunzione di responsabilità. Qualcuno dovrà pur rispondere della situazione, mica è colpa di un singolo medico o infermiere. Purtroppo i messaggi negli ultimi provvedimenti politici parlano di uno spostamento dell'attività dal centro verso la periferia. Se questa è la logica saranno disastri. In questo momento bisogna essere chiari, far capire con trasparenza che la situazione è di forte difficoltà e si complica ogni giorno di più. Togliere dei posti letto vuol dire andare incontro a conseguenze, che arrivano fino all'aumento delle morti improprie e a un aumento delle cronicità nelle malattie.