Sos infermieri: sono anziani, sono pochi, non c’è ricambio e molti lasciano la sanità pubblica
Il presidente dell’Ordine, Daniel Pedrotti: «Gli stessi problemi che hanno i medici, li abbiamo anche noi. Non è solo una questione di retribuzione, nei prossimi anni serve un vero cambi odi mentalità»
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TRENTO. «Gli stessi problemi che hanno i medici, la carenza di professionisti e il rischio di fuga di molti verso il privato e l'estero, li abbiamo anche noi infermieri. Siamo preoccupati per il futuro e per questo caldeggiamo delle scelte che puntino a valorizzare la professione sia in termini di carriera che dal punto di vista economico».
Daniel Pedrotti, Presidente dell'Ordine delle Professioni Infermieristiche snocciola numeri preoccupanti. «Il 45% degli infermieri sono nella fascia 45-65 anni ed è quindi evidente che nei prossimi mesi avremo un numero di uscite dalla professione notevolmente superiori alle entrate».
Dottor Pedrotti, in questi mesi l'Azienda sanitaria ha effettuato concorsi e continuato ad informare di assunzioni di infermieri, eppure sembra molti reparti siano ancora in sofferenza.
La carenza di dotazioni infermieristiche in alcuni contesti ad alta complessità assistenziale, come le medicine, le geriatrie, i pronto soccorso e le chirurgie, ma anche il territorio e le Rsa in particolare, è legata all'aumento della complessità assistenziali dei pazienti. Complessità non accompagnata da una revisione significativa degli standard di infermieri e personale di supporto. Oggi siamo sull'ordine di un infermiere ogni 9-10 pazienti nei reparti più "critici" e si arriva a 40-50 pazienti ogni infermiere nelle Rsa (di notte anche 120). Ci sono poi molti infermieri che stanno lavorando con contratto a tempo determinato e si tratta di situazioni che vanno sbloccate. Dunque nei prossimi anni ci sarà bisogno di un gran numero di infermieri.
L'aumento previsto dall'Università è sufficiente?
Quest'anno si passerà da 140 a 160 iscritti ma non basta aumentare il numero dei laureandi. Serve aumentare anche il numero delle aule e dei tutor. Il rischio, altrimenti, è quello di fare un'università di massa. Benissimo quindi aumentare il numero programmato, ma vanno trovati spazi e centri di simulazione per avere professionisti di qualità.
Poi c'è il doppio problema di rendere la professione attrattiva per i giovani, ma anche di evitare la fuga di professionisti verso la libera professione e l'estero.
Gli infermieri sono demotivati e vi è un trend in aumento di dimissioni per andare a lavorare nel privato o esercitare in libera professione. A livello nazionale non sono stati coperti i posti disponibili alla Laurea Triennale. Il Corso di Laurea in infermieristica di Trento tiene ancora bene, ma bisogna guardare al futuro e al trend che preoccupa. Inoltre in Trentino in alcune valli si presentano alla selezione pochi candidati.
E cosa si può fare?
Gli infermieri vogliono fare gli infermieri. Vogliono dedicare più tempo all'assistenza e alla cura infermieristica dei pazienti in un clima sereno e stimolante. Questa è l'essenza della nostra professione. Dall'altra chiedono meno burocrazia e attività improprie. Bisogna lavorare sul fronte della possibilità di carriera. Ci sono molti infermieri trentini con laurea magistrale, master universitari, corsi di perfezionamento, dottorato di ricerca, ma nel pubblico solo circa l'8% degli infermieri ha possibilità di fare carriera, ed è una carriera esclusivamente nell'area dell'organizzazione con funzioni di coordinamento o middle management. É praticamente assente la possibilità di fare carriera nella clinica, nella formazione e nella ricerca. Bene l'investimento della Provincia sulla formazione universitaria (master, neo laurea magistrale in Scienze Infermieristiche ad indirizzo specialistico), ma è necessario poi mettere a terrà il riconoscimento di queste elevate professionalità dal punto di vista giuridico, economico, organizzativo. Per rendere disponibili queste competenze ai cittadini, migliorare gli esiti di cura. Anche a livello dirigenziale le cose non vanno molto meglio.
Che numeri ci sono?
Meno dello 0,5% degli infermieri nel pubblico riveste posizioni dirigenziali e anche in questo caso nella maggior parte dei casi nell'area dell'organizzazione, poco nella formazione e nessuno nella clinica. In Apss lo scorso anno sono andati in pensione cinque infermieri dirigenti su 11 ma i posti - nelle more della nuova organizzazione - sono ancora non coperti. Questo peggiora ulteriormente la funzionalità del sistema. Ancora peggio va nelle Rsa dove non sono previste posizioni dirigenziali dedicate agli infermieri.
Quindi non è solo una questione economica?
Non c'è dubbio che i professionisti devono essere pagati di più e subito, coerentemente alla formazione universitaria, al livello di responsabilità assunto e alle competenze acquisite. Gli infermieri italiani e quindi trentini sono fra i meno pagati d'Europa. É anche una questione di dignità professionale. La Provincia di Trento, ha risorse e autonomia, e potrebbe fare di più. In Valle d'Aosta, solo per fare un esempio, hanno introdotto un'indennità specifica per gli infermieri di 350 euro al mese. Questo non significa che gli infermieri sono sensibili solo ai soldi, ma la professionalità va riconosciuta e bisogna guardare al futuro.
La nuova organizzazione pensata dall'Azienda sanitaria vi soddisfa come categoria?
Negli intenti stiamo parlando la stessa lingua, ma è chiaro che vanno trovare le risorse per far funzionare le case della salute e i rinforzi sul territorio. Vanno anche create le condizioni affinché i professionisti possano apportare, ciascuno con pari dignità, il proprio contributo in termini di competenze specifiche sul progetto del paziente. I modelli devono considerare l'evoluzione delle professioni sanitarie negli ultimi 20 anni, superando logiche e gerarchie anacronistiche. Vanno poi stratificati i livelli di responsabilità per garantire il governo del processo assistenziale. Diciamo no a salti di responsabilità nell'assetto organizzativo, sono disfunzionali al sistema e all'assistenza.