La battaglia degli allevatori trentini: costi enormi, sempre più difficile resistere nelle stalle
Più di venti stalle hanno chiuso negli ultimi mesi a causa degli aumenti dell'energia e dell'emergenza siccità. Ma c'è chi continua a lottare, sveglia alle 4 e lavoro fino a sera. I fratelli Bianchini: «Abbiamo deciso di chiudere con la mungitura, non avevamo altra scelta»
ALLARME Coldiretti: “A rischio la chiusura di una stalla su 10
CRISI C'è chi vende le vacche da latte e chi vuole diversificare
COSTI Latte e formaggi a rischio, Trentingrana si ferma
TRENTO. «Guadagno misero. E tanto lavoro». Siamo dentro la tempesta perfetta. Siamo nel mondo delle stalle trentine. Ci si alza presto al mattino. No, non al mattino. Ma nel cuore della notte. Bisogna mungere le vacche. Bisogna raccogliere il latte e poi portarlo dai 38 gradi del corpo dei bovini agli otto gradi richiesti per la conservazione. Poi bisogna alimentarli, gli animali. E mangiano molto. Tutto il giorno bisogna pulire, perché le stalle vanno tenute in ordine, il più possibile. Arrivano i camion di chi prende il latte e arrivano i fornitori. Bisogna controllare i mangimi. E come stanno le mucche? Ora te lo dice il computer, ma se ci sono problemi bisogna intervenire di persona.
Non importa se è domenica. Se è Natale. Se c’è caldo, se c’è freddo oppure nevica e uscire alle sei del mattino non è proprio la prima cosa che ti viene in mente.
Parli con gli allevatori del Trentino e la prima impressione che ne ricavi è un misto di orgoglio e di rabbia. Orgoglio, perché sanno di seguire una “missione” che metterebbe al tappeto tante persone dopo una sola giornata di lavoro. Rabbia, perché gli ultimi mesi sono stati ancora più difficili degli altri. Prima la siccità, che ha ridotto la disponibilità del fieno e ne ha alzato il prezzo. Poi l’esplosione del costo delle bollette, particolarmente sentita dalle stalle, che sono strutture che hanno bisogno di tanta energia.
Finora hanno chiuso 22 stalle, in Trentino. Alcune a gestione personale o familiare, altre di grandi dimensioni, come è accaduto a Fiavé, dove una stalla ospitava 180 mucche. C’è stato il caso clamoroso del Latte Trento, che ha sospeso la produzione di Trentingrana con la chiusura (temporanea) del caseificio di Pinzolo. L’altro giorno la cooperativa Arborea, proprietaria dello stabilimento ex Trentinalatte di Roveré della Luna ha comunicato il licenziamento di oltre un terzo dei lavoratori: da gennaio partirà la procedura per lasciare a casa 35 dipendenti su 75.
Insomma, ci sono nuvole nerissime sulle stalle trentine, alle prese con un aumento delle spese di produzione in media del 60%, a causa dei rincari energetici, dei mangimi, del gasolio e appunto delle bollette per l’elettricità.
La guerra in Ucraina è intervenuta a dare una mazzata ulteriore ad un comparto che rimane comunque fondamentale per il Trentino, anche e soprattutto agli occhi dei turisti. Un “mondo” intero è a rischio, con conseguenze che si fanno sentire soprattutto sulle stalle di montagna, perché laggiù - nella grande pianura - le difficoltà sono meno pesanti e si affrontano con le spalle un po’ più larghe.
Domenica scorsa Coldiretti ha organizzato la Giornata del Ringraziamento a livello locale (domenica ci sarà la Giornata provinciale, ne parliamo nell’altra pagina) e l’allarme si è alzato molto alto, da Levico («Sarà molto dura uscire da questo momento drammatico», ha ricordato Cristian Cetto, titolare di Malga Masi) fino a Trento (a Mattarello Oreste Tamanini ha aggiunto al lungo elenco di problemi anche la contrarietà del mondo agricolo alla realizzazione del grande bypass ferroviario).
Giusto per non farsi mancare nulla, molti allevatori hanno avuto qualche incontro troppo ravvicinato con l’orso e il lupo: un lungo elenco di predazioni che preoccupa.
Dalla Valsugana alle Giudicarie, la vita in stalla non è facile. «Abbiamo deciso di chiudere», dice lapidario Luigi Bianchini, che con il fratello Andrea gestisce una stalla a Vigolo Vattaro. L’azienda ha avuto momenti di gloria, arrivando ad ospitare 220 capi, di cui 110 da mungitura. Ora restano solo 60 manze da allevamento. Non si produce più il latte, ed è un vero peccato, perché questa stalla ha una storia importante: sono partiti i nonni con 3 vacche, che sono diventate 40 con i genitori prima di un ulteriore allargamento e poi dello stop al latte. Prosegue Luigi Bianchini: «Dispiace, ma non avevamo altra scelta. Le materie prime sono alle stelle, la siccità ha ridotto la disponibilità del fieno e ha alzato i prezzi».
I fratelli Bianchini si sono alzati dal letto tutte le mattine alle quattro e mezza, per una vita. Il tempo del caffè e della colazione e poi via, con la tuta da lavoro e gli stivali che si sporcano subito. Luigi Bianchini racconta come se fosse tutto normale: «Abbiamo casa a duecento metri dalla stalla. Quando dovevamo mungere la sveglia suonava alle quattro e mezza e non si finiva prima delle otto di sera. Oggi mi alzo alle sei e finisco alle sette. I giovani? Li capisco, perché qui è dura. Noi non abbiamo mai invogliato i nostri ragazzi a lavorare in stalla, e infatti hanno scelto strade diverse». Un tempo c’era anche un dipendente, ma oggi i due fratelli si occupano un po’ di tutto.
Sveglia di notte. Lavoro duro. Una missione. Eppure a questa gente dispiace che cambi tutto, che la crisi metta a rischio un settore che ha dato tanto al Trentino. Ci sono due generazioni, dopo le rovine della Seconda guerra mondiale, che hanno ricostruito il Paese con la vanga e il trattore, in stalla e durante il raccolto. Senza guardare all’orologio e lavorando «finché ce n’è». Con loro anche tante alte categorie - camionisti, autisti, ferrovieri, personale sanitario, panettieri, netturbini - che non si sono mai fatti problemi a lavorare di notte o ad allungare le ore di paga. Anche perché sapevano che - in tempi di crescita - se si lavorava di più si guadagnava più. E tutta la famiglia viveva meglio.
Chiediamo a Luigi Bianchini se pensa che sia arrivato il momento di godersi la pensione: «La mia pensione è di 690 euro: questo è ciò che mi spetta dopo una vita di lavoro. Ma non mi lamento. Il momento però è difficile: lavorare in stalla è sempre stata dura, ma le aziende di famiglia si mantenevano. Qui, invece, va sempre peggio».