Batterio nel latte, dottoressa del Santa Chiara a processo: per l’accusa non visitò il bimbo
La vicenda risale al giugno 2017, con la diagnosi di Seu. Il piccolo non si è più ripreso. Nel dicembre scorso erano stati condannati l’ex presidente del caseificio e il casaro
SCHEDA/1 Sintomi e cura del batterio Escherichia coli
SCHEDA/2 Cosa è la "Seu”: la malattia acuta rara
TRENTO. Lesioni personali colpose gravissime in attività medica e omissione di atti d'ufficio: questi i reati contestati alla dottoressa dell'ospedale Santa Chiara di Trento che - secondo l'accusa - nel giugno 2017 avrebbe rifiutato di fornire un consulto ad un collega che si stava occupando di un caso delicato. Era infatti in corso la valutazione di un bimbo che si era sentito male dopo aver mangiato un formaggino contaminato da escherichia coli (un batterio contenuto nel latte crudo).
La dottoressa è stata rinviata a giudizio. Il processo dibattimentale si aprirà ad aprile. Al piccolo, che all'epoca aveva solo 4 anni, due giorni e mezzo dopo il ricovero venne diagnosticata la Seu, la sindrome emolitico-uremica. Come indica l'Iss, istituto superiore di sanità, «il decorso della Seu può essere rapido per cui è importante intervenire molto tempestivamente ricorrendo a centri ospedalieri di riferimento specializzati (reparti di nefrologia, dialisi, pediatrie)».
È per questo motivo, per il diniego al consulto che avrebbe comportato la mancata tempestività nella diagnosi, che il papà del bambino aveva presentato un esposto contro la dottoressa che - riferì il genitore - aveva detto di essere «occupata e stanca».
Una vicenda drammatica, per la quale nel dicembre scorso sono stati condannati per lesioni personali gravissime l'ex presidente del caseificio sociale di Coredo Lorenzo Biasi e il casaro Gianluca Fornasari: il giudice di pace di Cles Daniele Bonomi ha comminato loro la pena di 2.478 euro di multa (pena base di 1.239 euro, diminuita per le attenuanti generiche e aumentata del triplo), oltre al pagamento di tutte le spese processuali. Sono state dunque accolte la richiesta di condanna della procura e della parte civile, rappresentata dagli avvocati Paolo Chiariello e Monica Cappello per il padre Giovanni Battista Maestri, riconoscendo un nesso causale tra l'assunzione del formaggio "Due Laghi" - acquistato presso il caseificio e contaminato dal batterio - e l'insorgere della terribile Seu, la sindrome emolitico-uremica, una infezione causata da alcuni ceppi di Escherichia coli. Il bambino è ora ridotto ad uno «stato vegetativo insanabile» come era emerso dalla toccante testimonianza del papà, Giovanni Battista Maestri, che in questi anni ha sempre ribadito: «Vogliamo sia accertata la verità su quanto è successo, perché non debba ripetersi mai più».
Sulla sentenza pende il giudizio di secondo grado. «Si attende che venga fissata quanto prima la discussione dell'appello per evitare la prescrizione che andrà a maturare nel dicembre prossimo», precisa l'avvocato Chiariello. Si è aperto nel frattempo il secondo filone dell'inchiesta, relativo alla presunta colpa medica. Oltre alla prima querela affinché venisse fatta luce sulle responsabilità del caseificio, il padre aveva infatti presentato un esposto in merito all'episodio verificatosi al Santa Chiara, dove il piccolo venne trasferito dall'ospedale di Cles per effettuare esami più approfonditi. Era il 5 giugno 2017; il formaggino era stato mangiato il 3, due giorni prima.
Al termine degli accertamenti la procura aveva chiesto l'archiviazione, ma il padre, attraverso l'avvocato Paolo Chiariello, si era opposto. Il giudice per le indagini preliminari Marco Tamburrino aveva però ordinato alla procura di esercitare l'azione penale nei confronti della dottoressa, per i reati di rifiuto di atti d'ufficio e per lesioni personali colpose gravissime.
Nell'udienza celebrata nei giorni scorsi, con una lunga requisitoria la pm Maria Colpani ha chiesto il non luogo a procedere. Si è associata l'avvocata Monica Baggia, legale della dottoressa, che ha presentato una memoria difensiva, mentre in senso opposto ha discusso l'avvocato Paolo Chiariello per la parte civile, il padre del bambino. Il gip Enrico Borrelli ha ritenuto di accogliere la richiesta della parte civile rinviando a giudizio la dottoressa. Giovanni Battista Maestri è fiducioso che il processo prosegua celermente, perché anche per questo filone incombe la prescrizione.