Under 30 / Intervista

Il giovane trentino Nicola Divan è il più bravo all’Università di Yale

Il 29enne del capoluogo si è aggiudicato lo Student Marshal, premio per lo studente con la media più alta, nel percorso di studi del noto ateneo Usa. "Spiace constatare che in Italia gli stipendi dei giovani non siano allineati al loro valore reale. La chiave è investire in chi è appena formato"

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di Elena Piva

TRENTO. Non vi è traccia di vanto nelle parole di Nicola Divan, 29enne di Trento, mentre racconta le sensazioni provate nel ricevere il prestigioso Student Marshal, il premio dell’Università di Yale (Connecticut, Usa) riservato allo studente con la media più alta nel percorso di studi. Orgoglio sì, ma nessun desiderio di pavoneggiarsi: al centro di ogni sua riflessione pulsa, prima ancora dei successi accademici, una passione tanto fervente quanto incapace di rimanere silente.

Il fascino provato per il settore professionale che oggi lo vede tra le figure più qualificate a livello internazionale è nato agli albori della carriera.

Dopo il biennio liceale ad indirizzo scientifico al Galilei di Trento, Divan ha frequentato il triennio alla scuola militare Teulié di Milano. Ha conseguito la laurea triennale in ingegneria gestionale al Politecnico di Milano e la magistrale con lode all’Università Carlo Cattaneo (LIUC).

Brillano nel curriculum, oltre a un programma di scambio con la Singapore Management University, il master in Business Administration all’École des Hautes Études Commerciales di Parigi e quello in Advanced Management alla School of Management di Yale. Ora, è pronto per il cammino con la Consulting Boston Group a Milano.

Quando è maturato in te l’interesse verso i meccanismi commerciali?

Alle superiori, da appassionato di storia, ho sviluppato curiosità e maturità critica per le dinamiche che limano il carattere di un popolo. Il fare impresa non si limita alla mera attività economica ma è espressione di valori e modi di pensare. Poi, nel mio percorso, ho trovato l’ingegneria gestionale: permette di applicare strumenti analitici a un contesto di business orientato all’efficenza.

L’esigenza di approfondire gli studi mi ha poi portato al master in business administration all’Hec Paris dove ho esaminato a fondo i “best practices”, ossia i modi più evoluti per gestire vari tipi di impresa e le problematiche annesse, attraverso la condivisione. Dialogare e lavorare in team sono azioni indispensabili per investigare le evoluzioni dello stato dell’arte di una procedura.

Da Parigi a Yale non basta un volo: quali sono i sacrifici? 

A questo punto della carriera, studiare a tempo pieno è un investimento di tempo, energie e risorse economiche, richiede un’attenta pianificazione. L’approccio imprenditoriale statunitense porta con sé una buona dose di competizione, sprona a dare il massimo. Yale è stata un’esperienza sociale, uno scambio culturale e professionale. La presenza di colleghi provenienti da ogni continente mi ha aperto gli occhi sulle prospettive da cui osserviamo le medesime questioni. Grazie ai miei risultati sono diventato teaching assistant (assistente del professore): la capacità dei docenti di condensare anni di ricerche in insegnamenti digeribili e stimolanti è stata fonte d’ispirazione. 

Nelle tue mani è arrivato lo Student Marshal.

Sì, una sorpresa indescrivibile: non si può certo programmare di avere la media più alta tra le menti più brillanti. È motivo di orgoglio, il coronamento della carriera accademica. Ringrazio i colleghi che hanno arricchito ed espanso la mia visione sul fare impresa e il contesto che aiuta ad esprimersi.

Quali sono dunque i segreti per avere un’ottima capacità decisionale?

Adottare un approccio ad imbuto, partendo da una base quantitativa di analisi dei dati, per andare a scovare influenze, contesto e ramificazioni. E avere l’intuito di capire il target di riferimento, mai scontato. Sono doti che aiutano a prendere decisioni difficili con dati incompleti sopperendo all’incertezza di mercato; distinguono un bravo professionista da un eccellente chief-marketing officer, come Todd Kaplan (PepsiCo) che ammiro. Kaplan sottolinea sempre che si deve trarre soddisfazione da ciò che si fa e lasciare un’impronta personale in ogni cosa.

Presto sarai da Boston Consulting Group: aspettative? 

Essere un consulente strategico, figura di spicco nel panorama aziendale, richiede competenze analitiche e di leadership con le quali aiutare le imprese mondiali a identificare sfide peculiari e soluzioni adeguate alle incognite del nostro tempo. Sono entusiasta di imparare da professionisti e di poter guidare, a mia volta, giovani consulenti. La filosofia della BCG è crescere attraverso la crescita dei clienti. Porre l’accento sullo sviluppo delle persone è il vero successo ed è la ragione del mio ritorno in Italia: mi sono identificato in questo ruolo, sensazione non avrei vissuto all’estero. 

Come si potrebbe ridurre la “fuga di cervelli” dal Paese, oltre alle arringhe aziendali negli speed-dates scolastici?

Conscio del riconoscimento che l’estero offre agli italiani, trovo che le aziende nazionali debbano iniziare a riconoscere il potenziale economico dei giovani talenti, con strategie lungimiranti: un lavoratore junior ha spesso la stessa attitudine al lavoro di chi ha anni di esperienza ed è animato da una maggiore voglia di contribuire.

Spiace constatare che gli stipendi dei giovani non siano allineati al loro valore reale, né siano competitivi con quelli esteri. Le imprese che non riescono a valorizzare i giovani si affacciano sulla contemporaneità da una prospettiva errata.

Le persone appena formate hanno il diritto di ricevere un trattamento retributivo equo per costruirsi un percorso. La chiave è investire per donare loro un senso di appartenenza. Quando una persona si sente parte di una comunità difficilmente sceglie di andarsene.

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