The André, l'anonima voce trap Live a Rovereto l'11 maggio
«È bravissimo e intelligente. La sua voce è molto simile a quella di Fabrizio e trovo interessante che focalizzi meglio i valori espressi nei testi trap, creando momenti ironici di smitizzazione, ma sempre rispettosi».
Queste le parole usate da Dori Ghezzi per definire la musica di The André il «cantautore senza volto» diventato un vero e proprio caso musicale grazie alla sua voce incredibilmente simile a quella di Faber. Il suo esordio discografico Themagogia , al centro del live di sabato 11 maggio a Rovereto per lo Spring Food Festival, unisce con nuovi linguaggi i mondi del cantautorato e della trap.
Quando ha scelto come nome d'arte quello di The Andrè non temeva di essere accusato di lesa maestà?
«No, in realtà l'ho scelto proprio per evitare questo problema. Il primo nome del mio progetto era "De Andrè canta la trap" e quello si prestava molto di più a fraintendimenti».
Poi sono arrivati gli apprezzamenti di Dori Ghezzi: se li aspettava?
«Francamente mi hanno stupito le sue parole e i suoi complimenti. In realtà avevo paura di incorrere, non dico in denunce, ma almeno in lamentele, da parte della Fondazione dedicata a De André. Invece le cose sono andate diversamente».
Chi è per lei Fabrizio De Andrè?
«È un personaggio che ho imparato a conoscere e ad ascoltare fin da quando ero bambino ed ho amato durante tutta la mia adolescenza, segnata non solo dalle sue ballate ma anche dai suoi testi e dai suoi messaggi. De André mi ha insegnato uno stile musicale che mi ha portato ad apprezzare anche altri cantautori italiani, lui mi ha aperto tante porte».
Quanto si è divertito a trasformare i pezzi trap di Ghali, Guè Pequeno e Sfera Ebbasta in ballate alla Faber? Due mondi diametralmente opposti.
«Tutto è partito da un gioco che facevo con un amico: per un certo periodo ci mandavamo messaggi su Whats'App in cui imitavamo la voce di De André facendogli cantare pezzi di De Gregori, di Guccini, piuttosto che di Tiziano Ferro o Fabri Fibra».
Un De André chimera insomma.
«Sì, non avevamo pudore alcuno. Poi grazie ad un'amica che insegna alle medie ho incominciato a conoscere il fenomeno della trap partendo da "Cono gelato" della Dark Polo Gang. Quando ho sentito certi pezzi sono rimasto spiazzato e ho pensato che dovevo assolutamente cantare con il mio stile le hit della trap. Il mio ovviamente era un atteggiamento del tutto goliardico: visto che mi divertiva ho pensato che potesse divertire anche qualcun altro. Ho messo qualche video su Youtube e da lì sono esplose le visualizzazioni sul mio canale che ha superato la quota di 4 milioni di clic».
Come mai ha scelto di non avere né un'identità, né un volto, nel mondo dell'immagine, e pensa sia una scelta definitiva?
«Per come è nato il progetto, il mio volto, oltre a non essere necessario, era persino disturbante per le suggestioni che volevo creare con la mia musica. Ero e sono tutt'ora geloso della mia privacy e non penso che sarebbe un valore aggiunto svelare la mia identità. Non mi sento un personaggio ma una persona qualsiasi e va benissimo così».
Per il primo cd ha scelto il titolo di «Themagogia» accompagnato dalla frase «Tradurre, tradire, trappare»: cosa delinea?
«La società di oggi è segnata da una forte demagogia, perché chi ci governa ha sempre più voglia di fare i propri interessi dando al popolo qualche contentino per non essere disturbato, gettando fumo negli occhi senza nulla o quasi di concreto. Questa è una metafora che vale anche per me: i miei interessi sono legati al cantautorato del passato ma accontento il mio pubblico dandogli la musica trap nelle forme in cui piacciono a me. Così mi trasformo in una sorta di demagogo pure io».