Il vino buono sta nelle bottiglie colorate, secondo la Fondazione Edmund Mach
Sono diverse le scoperte innovative, riassunte nel report 2019-2022 della Fem: il centro ha sviluppato pratiche e metodologie sostenibili per la conservazione delle risorse naturali. Per biodiversità vincente, spicca tra i prodotti Trentingrana. Spazio anche alla mappatura della zanzara tigre
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TRENTO. Meglio bottiglie color ambra o verde rispetto a quelle di vetro incolore, che degradano l'identità aromatica del vino, messo a "nudo" e senza alcuna protezione. Non solo, il Trentingrana diventa un esempio di biodiversità vincente.
Sono questi alcuni dei risultati emersi nel Report 2019-2022 del Centro di Ricerca e Innovazione della Fondazione Edmund Mach: 122 pagine, frutto di ricerche portate avanti in questo quadriennio. Una ricerca che ha superato i 200 articoli all'anno su riviste di alto livello scientifico, raccogliendo collaborazioni internazionali con oltre 570 enti pubblici e privati. Risultati significativi sono stati ottenuti in diversi settori quali l'agricoltura sostenibile, l'ecologia, la biodiversità, la genetica, la nutrizione e l'innovazione tecnologica. Tanti di questi anche "curiosi".
In particolare spiccano le scoperte nel campo dell'agricoltura sostenibile, per cui il Centro ha sviluppato nuove pratiche agricole che favoriscono la conservazione delle risorse naturali, riducendo l'impatto sull'ambiente e migliorando la produttività. Inoltre il report evidenzia l'importanza dell'ecologia nella conservazione della biodiversità e nella gestione degli ecosistemi.
Il colore della bottiglia del vino. Tradizionalmente il colore della bottiglia di vino era verde o ambra, ma negli ultimi anni si è assistito a un massiccio utilizzo, soprattutto per alcuni vini e in alcuni mercati, di bottiglie di vetro incolore. Così vengono confezionati spesso i vini bianchi e rosati perché il consumatore ama scegliere il prodotto prima di tutto con gli occhi. Questo però ricade sulla qualità del prodotto stesso. Gli scienziati hanno inftati appurato che l'esposizione alla luce può danneggiare la qualità degli alimenti, accorciare la shelf life, e in alcuni casi alterare anche il valore nutritivo. Una cosa che non risulta del tutto nuova: già negli anni '70 era stato dimostrato che la comparsa del gusto di luce, con note di cavolo cotto, è causata da reazioni chimiche indotte dalla luce che attraversa il vetro delle bottiglie.
Un ampio studio, condotto su quattro varietà di vini bianchi e con l'utilizzo di più di 1000 bottiglie, ha dimostrato che la comparsa di odori indesiderati non è l'unico rischio possibile. A degradarsi sono anche diversi aromi primari del vino, finora considerati stabili, che cambiano rapidamente già dopo una o due settimane di permanenza sullo scaffale se il vino è nelle bottiglie di vetro incolore. Scomparendo composti aromatici importanti, come le molecole che modulano l'aroma floreale e fruttato dei vini bianchi, il prodotto perde la sua identità. In conclusione nelle bottiglie in vetro incolore il vino è "nudo" e privo di ogni difesa.
Trentingrana: un esempio virtuoso di biodiversità. Nella produzione di Trentingrana vengono utilizzati i batteri naturalmente presenti nel siero caseario, come pure di altri formaggi a pasta dura italiani (Parmigiano Reggiano e il Grana Padano). Con la collaborazione del Gruppo Formaggi Trentini, è stato avviato uno studio corposo sulla dinamica e biodiversità di batteri e fagi (virus in grado di infettare i batteri) nel siero mediante un massiccio sistema di campionamento presso sei caseifici Trentingrana nell'arco di un anno di produzione, per un totale di 216 campioni.
Come in altri ecosistemi, i fagi svolgono un ruolo ecologico, inibendo i ceppi batterici a più rapida crescita. È stato così costituita una bio-banca del siero Trentingrana formata da più di 1.200 batteri e da 120 fagi. Questo studio dimostra come sia evidente un equilibrio microbiologico tra fagi e batteri in cui l'uso di colture naturali di siero crea un ambiente ideale per la proliferazione di molti ceppi differenti di L. helveticus in grado di controbilanciare la presenza dei fagi evitando problemi per la qualità del formaggio.
Zanzare tigre in Trentino. Il centro ha affrontato anche il problema delle zanzare: diverse le specie provenienti dall'Asia che negli ultimi decenni hanno colonizzato nuove aree, molto distanti dalla loro zona d'origine. Tra questi, il primo esempio è quello di Aedes albopictus, meglio conosciuta come zanzara tigre, presente dai primi anni 2000 nella nostra provincia, sia nei centri urbani di tutte le valli al di sotto dei 600 metri di quota. A favorirne la diffusione anche i cambiamenti climatici in atto.L'intensità delle punture da parte di questa specie è talvolta tale da costringere le vittime ad abbandonare le attività condotte all'aperto per rifugiarsi al chiuso. Inoltre rappresenta un potenziale grave problema dal punto di vista della salute pubblica poiché in grado di trasmettere diversi agenti patogeni quando punge gli esseri umani.
Il Centro ha così condotto degli esperimenti per capire se questa specie si sia ormai adattata alle condizioni climatiche del territorio, più freddo rispetto a quello di origine. A seguito di esperimenti condotti negli armadi climatici del nuovo insettario della Fem (con esemplari allevati nella colonia stabilita nel 2018 da uova raccolte in Trentino) il risultato è che il clima per la zanzara tigre non è più un ostacolo. Gli stadi immaturi, quali uova e larve, si sono ben adattati a condizioni fredde, simili a quelle che tipicamente si registrano in primavera.
Ad esempio, a 10 gradi le larve trentine riescono a sopravvivere, a differenza di quelle subtropicali. A 15 gradi il 73% delle larve della popolazione locale raggiunge lo stadio adulto contro il 50% della popolazione subtropicale. La longevità e la fecondità degli adulti sono perciò maggiori in condizioni miti, che rispecchiano le tipiche estati trentine. La durata della stagione riproduttiva aumenta grazie a questo adattamento termico e consente la colonizzazione di aree a quote più elevate.