Trump: non ho tempo per un cane, tradizione infranta
«Non mi dispiacerebbe avere un cane ma non ho tempo»: così Donald Trump ha giustificato ieri davanti ai suoi fan a El Paso il fatto di non averne uno: è il primo presidente in 120 anni a non avere un «first dog».
«Come potrei portarlo a passeggio sul prato della Casa Bianca?» si è chiesto, ricordando che un sacco di persone gli ha suggerito di prendere un cane, anche per guadagnare consenso politico. «Ma mi sembra un pò falso, non ne sento la necessità, perchè non è questo il rapporto che ho con i miei elettori», ha aggiunto. Il tycoon ha risposto così ad un interrogativo che si pongono molti americani, ovvero se Trump sia una persona che detesta i cani, o ne ha paura per via delle sue presunte tendenze germofobiche.
Tutti i presidenti americani hanno avuto un amico a quattro zampe: da William McKinley, che iniziò il suo mandato nel 1897, a Barack Obama, i cui due portoghesi d’acqua Bo e Sunny erano così richiesti nelle ‘photo opportunity’ da avere un loro programma ufficiale. Per non parlare di Warren G. Harding: Laddie Boy, il suo airedale terrier, aveva la sua sedia speciale alle sedute di governo e fu l’ospite d’onore della tradizionale corsa delle uova di Pasqua della Casa Bianca nel 1923, come primo eminente animale politico. I Beagles di Lyndon Johnson conquistarono la copertina di Life nel 1964, concedendo un break informativo nella guerra del Vietnam. E il libro che ha come protagonista Millie, lo springer spaniel di Barbara Bush, ha venduto più delle memorie della ex coppia presidenziale.
La tradizione è diventata così consolidata che quando l’allora governatore Scott Walker corse per la Casa Bianca nel 2016, la sua allergia ai peli del cane fu vista come un ostacolo. Ma Trump ha interrotto anche questa convenzione politica, paragonando spesso ai cani i suoi avversari, da Steve Bannon a Mitt Romney, da Ted Cruz alla sua ex collaboratrice Omarosa Manigault Newman.
La sua prima moglie Ivana ha scritto nella sua autobiografia che Donald non è un «dog fan» e che la coabitazione forzata con il suo barboncino Chappy non fu felice. L’unico tentativo di convincere Trump ad adottare un cane, un mese dopo l’elezione, fu fatto da Lois Pope, un filantropo di Palm Beach che gli mise tra le braccia un Goldendoodle, mostrando poi la foto al figlio del presidente, Barron, che si commosse sino alla lacrime. Ma neppure questo bastò a far cambiare idea al tycoon.