Padergnone: ha chiuso la Cantinota, storico locale dei fratelli Bressan
PADERRGNONE - La notizia trafigge il cuore. Generazioni cresciute con il mito della Vespa e dei Beatles, ma non solo, salutano rammaricate l’ammaina bandiera della “Bottega storica trentina” della famiglia Bressan. Padergnone non conosce ancora il turismo estero quando nel 1933 apre il negozio di generi misti e di lì a poco, nel retrobottega, quello che entrerà nella leggenda con il nome “Cantinota”, locale avviato per la libera mescita del “vino rigeneratore” secondo i segreti del mestiere carpiti in Baviera da Alberto Bressan, messo al mondo dopo Ezio e Luciano dai coniugi Rinaldo e Dina Grazioli.
Staccare la spina dal lavoro di sempre e recidere una passione totalizzante, di quelle che prendono e non mollano più, non è uno zuccherino. Ne sa qualcosa il primogenito Ezio, ultimo di tre soci ad essersi staccato a collo torto dal bancone. Dall’alto delle sue primavere - 97 il prossimo 12 febbraio - lascia scorrere un interminabile nastro di “bei ricordi” registrati in quell’osteria tappezzata di foto, autografi, motti e frasi senza tempo. Non solo: raccolte di monete e banconote di ogni taglio e decennio, bottiglie d’annata e utensili della ruralità che fu. Un’atmosfera intima e soffusa, arredamento rustico e suppellettili con la loro caratteristica di un bric-à-brac uniti all’esperienza di chi ha declinato il suo sogno in piccoli sapori caserecci. E l’ironia a farla da padrone, per iscritto: “Non metterti in cammin, se la bocca non sa di vin”. Eppure mai un commento sopra le righe o una parola di troppo, semmai una di meno, e il servizio al tavolo semplicemente impeccabile. Comitive di turisti, memorabili quelle di tedeschi e danesi di passaggio verso le acque increspate del Benaco, e valligiani habitué in vena di bagordi che vi mettono piede senza disdegnare alcunché. Vini e liquori nostrani, panini imbottiti e taglieri calorici da mandare in solluchero, con i pionieri Bressan sempre lì a dare il benvenuto col grembiule blu cinto attorno alla vita, fino all’ultimo palpito e ben oltre l’età pensionabile. Irriducibili, non sono mancati di presenziare se non per lutto familiare.
A sbarrare l’uscio una volta per tutte ci è riuscito con indicibile prepotenza il coronavirus. Ha inflitto il colpo di grazia, ma non per via di bilanci chiusi in rosso. Stentano a crederci perfino i compaesani, anche perché se ad appendere le chiavi al chiodo sono personaggi come i fratelli Bressan, la comunità tutta perde un che della sua identità. Ai tempi in cui si tendeva ad alzare più facilmente il gomito e arrivava notte fonda senza avvedersene, si poteva pernottare in una delle tredici camere ai piani alti dello stabile di via Nazionale, contraddistinto fino all’ultimo da una vetrina fronte strada con tanto di specialità trentine.
Una ragione in più per fare tappa alla “Cantinota”, con vino alla spina e companatico diventati un must irrinunciabile. Provvidenziale l’ausilio di braccia esterne nelle giornate di punta, quando a coadiuvare con garbo e misurata ironia erano Cesarina, consorte di Ezio, e Mirta, dolce metà di Luciano. Insomma, conduzione familiare per quanto di più semplice e genuino da mettere sotto i denti e sorseggiare in compagnia. «Altri tempi, mi porto dentro tantissimi ricordi di famiglia che non potrò dimenticare», intercala con voce tremante di commozione Michela, divenuta braccio destro di Ezio dopo la scomparsa dei fratelli. Il suo tempo da oste è andato. Si commuove Michela, si commuove davvero. «Mi sento orgogliosa di papà Luciano e zii, ringrazio per tutto il bello che è stato».
E’ tramontata un’epoca, di quelle da incastonare nell’album dei ricordi di una comunità.
Nella foto dei "tempi d'oro" i fratelli Bressan: da sinistra Ezio, Luciano ed Alberto.
Qui sotto: uno scorcio del locale.