Dopo il covid, tante neuropatie: a Pergine l'esperienza di Villa Rosa nel recupero dei pazienti
L'ospedale è centro specializzato sulle problematiche che affliggono chi ha contratto il coronavirus, parla il dottor Jacopo Bonavita: «Tanta gente non lo sa, ma il covid lascia anche conseguenze neurologiche importanti e persistenti»
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PERGINE. L'ospedale che lavora per dare a pazienti disabili una nuova prospettiva di vita, da circa due anni è costretto a trattare anche decine di casi che prima contava in singole unità: gravi polineuropatie, critical illness polyneuropathy, in pazienti "guariti" dal Covid.
È un altro segno di quanto sia essenziale e unico, in provincia di Trento, l'ospedale Villa Rosa aperto nel 2013 e a lungo additato come una incompiuta e come una "cattedrale nel deserto", visti gli enormi spazi rimasti vuoti a lungo vuoti.
Ma, in realtà, proprio questi spazi da un po' sono al centro di progetti e attività "speciali", mentre sull'eccellenza del Villa Rosa dal punto di vista medico nessuno ha mai nutrito dubbi.Il 6 maggio 2019, a dirigere l'Unità operativa complessa di alta specialità riabilitativa per le patologie neurologiche (che conta 54 posti letto e una vasta area con laboratori e palestre di ogni tipo), è arrivato il dottor Jacopo Bonavita, bolognese classe 1966, già direttore della Unità spinale di Montecatone (Imola) per sette anni e con alle spalle importanti esperienze maturate in altri ospedali come il Bellaria di Bologna.
Pieno di idee, si è trovato quasi subito a dover fare i conti con la pandemia.
«Tanta gente non lo sa, ma il Covid lascia anche conseguenze neurologiche importanti e persistenti. In questi due anni, abbiamo trattato almeno 50 persone con questi problemi e ora ne abbiamo ancora una decina. Alcune hanno avuto bisogno di ricoveri lunghi anche tre - quattro mesi. Moltissime sono migliorate e tornati a una vita quasi normale, ma una non è riuscita a camminare di nuovo».
Il Covid è direttamente responsabile di queste gravi polineuropatie?
«In alcuni casi il Covid, per varie cause metaboliche, determina una ipostenia, una sofferenza dei nervi, oltre ad altri problemi. In altri casi, invece, gioca un ruolo fondamentale il prolungato allettamento dovuto alla terapia intensiva, alla posizione prona in cui il malato viene messo per aiutrlo a respirare. Però, quale che sia la causa, una cosa è certa: rispetto al periodo pre pandemia, c'è stato un forte aumento di queste patologie».
In che condizioni arrivano questi pazienti e come li curate?
«Arrivano con forme più o meno ampie di paralisi degli arti, delle funzioni respiratorie e anche della deglutizione.
Li sottoponiamo a terapia occupazionale, fisioterapia di tipo respiratorio e logopedia e facciamo anche tutta la terapia che serve per svezzarli dalla cannula tracheostomica, perché spesso arrivano con quella anche se non sono ventilati. Quindi hanno bisogno di essere aspirati, non hanno una tosse efficace per liberare i bronchi, hanno molto catarro e vanno gestiti in maniera accurata. Nella fase successiva, li mettiamo seduti, facendo fronte a svenimenti, improvvise debolezze e altro.
Quindi lo sottoponiamo a rinforzo muscolare e contemporaneamente alla rieducazione all'alimentazione, perché la paralisi della deglutizione può portarli alla ingestione polmonare di cibo e liquidi e a conseguenti polmoniti "ab ingestis"».
Il Covid dà altre patologie caratteristiche?
«Abbiamo visto una vera e propria "epidemia" di paralisi dello Spe, il nervo sciatico popliteo esterno, la cosiddetta "sindrome del piede cadente"».
Altre strutture trattano questi casi?
«Ci sono strutture riabilitative convenzionate ad Arco, ma in Trentino solo noi riusciamo a gestire certe complessità, come la cannula tracheostomica, e siamo l'unica struttura di alta specialità in cui si curano i pazienti affetti da cerebrolesioni e mielolesioni (lesioni midollari) oltre a fare una riabilitazione intensiva considerata "standard" come quella per il Covid, l'ictus, eccetera».
Con tutto questo carico di lavoro, bastano i posti letto e il personale?
«Da quando c'è stato il Covid, non siamo più riusciti a mantenere i 54 posti letto: ora ne abbiamo 42-44 occupati, anche a causa di assenze tra il personale per sospensioni o contagi. Il team multidisciplinare viaggia su 130-135 persone tra medici, infermieri, oss, fisiatri, fisioterapisti, terapisti occupazionali, logopedisti, assistenti sociali, assistenti bagnanti, psicologo, i bioingegneri. A parte le assenze, in generale riusciamo a garantire la gestione dei casi acuti, attirando anche pazienti da Veneto, Friuli, Alto Adige, con cui abbiamo avviato una collaborazione, ma facciamo più fatica a farci carico delle cronicità, ossia a trovare un posto per un paziente che ha bisogno di rientrare per un periodo di ulteriore trattamento».