Rovereto, stagione «gratis» per il rilancio sul campo
È una strana «rifondazione» quella in corso all'Us Rovereto. Così strana che il termine stesso è inadatto. L'assetto societario non è cambiato. Il presidente è sempre Roberto Zandonai. E di soldi, causa ed effetto di tutto ciò che si muove nel mondo del pallone, non ce ne sono. Neanche un euro. C'è un sogno. Un sogno collettivo che ad un occhio cinico può sembrare follia. C'è tanta, questa sì concretissima, voglia di fare. Sul campo ma anche fuori dal campo, quel Quercia che si vuole tornare a vedere gremito
Domenica 11 agosto, stadio Quercia. In corso l'amichevole Rovereto - Fersina. Alla fine del primo tempo, a sorpresa, il Rovereto conduce uno a zero. Il risultato finale sarà 1 a 5 a favore dei perginesi, ma per la prima ora, le zebrette tengono il campo di casa. Nella ripresa, subentrano i cambi (degli altri), il fiato esige il suo pedaggio e la differenza tecnica (il Fersina gioca in due serie superiori) si fa sentire. Ma la squadra c'è. Contro un avversario fuori portata, il Rovereto tiene botta. Con cuore e polmoni. Tanto che a un certo punto Maurizio "Totò" Improta, il mister del Fersina, sbotta da bordo campo: «Eh forza, dai! - urla ai suoi -. Guardate che questi giocano gratis!». Nessun incitamento di rimando dalla panchina del Rovereto, da parte dell'allenatore Giuliano Giovanazzi, per tutti Giuli. Del resto, è vero. Lo sa bene. È un giocatore anche lui.
È una strana «rifondazione» quella in corso all'Us Rovereto. Così strana che il termine stesso è inadatto. L'assetto societario non è cambiato. Il presidente è sempre Roberto Zandonai. E di soldi, causa ed effetto di tutto ciò che si muove nel mondo del pallone, non ce ne sono. Neanche un euro. C'è un sogno. Un sogno collettivo che ad un occhio cinico può sembrare follia. C'è tanta, questa sì concretissima, voglia di fare. Sul campo ma anche fuori dal campo, quel Quercia che si vuole tornare a vedere gremito. Qualcosa si è già mosso: contro il Fersina, nell'amichevole delle cinque sberle incassate con onore, sugli spalti c'erano un'ottantina di spettatori. Un bel passo avanti, visto che la media, nelle ultime stagioni, nelle partite ufficiali, non superava la ventina di persone. Ospiti inclusi.
La vicenda che qui si racconta parte nel momento più buio della storia recente dell'Us Rovereto. Precisamente l'11 luglio scorso quando, a meno di 5 giorni dalla scadenza per l'iscrizione della prima squadra, Zandonai, al termine di una stagione tormentata, consumata la rottura con mister Renzo Merlino, con diversi giocatori che sbattono la porta e i genitori dei ragazzi delle giovanili in rivolta, si ritrova con solo 10 tesserati per la prima squadra. E la prospettiva di legare il suo nome all'epilogo di una tradizione sportiva, e non solo, lunga 96 anni. Si va incontro ad una stagione con le sole squadre giovanili, poi chissà. Ma succede qualcosa. Cinque giorni dopo la prima squadra del Rovereto conta 22 tesserati ed è iscritta al campionato di Promozione. Autori del «miracolo» gli stessi giocatori, lo zoccolo duro della rosa che, di fronte alla prospettiva del naufragio propone al presidente: ci autogestiamo. Facciamo da soli. Non vogliamo soldi, ma autonomia. Sia sul campo che fuori. Zandonai accetta. La guida tecnica passa all'accoppiata di giocatori - allenatori Giuliano "Giuli" Giovanazzi e Andrea Manica. I giorni seguenti, febbrili, Manica e Giovanazzi li passano al telefono; chiamano una quarantina di giocatori, legati per diverse vie alla società. Propongono la loro idea: «Facciamo da soli. Basta scontri, basta soldi, che tanto non ci sono, basta polemiche. Solo calcio. Ti va?». In tanti declinano, in tanti accettano. Ragazzi che hanno fatto le giovanili nel Rovereto, legati alla maglia e contagiati dalla follia della proposta. Sportivi che rinunciano ad altre offerte, offerte con soldi veri, per sposare un progetto che parte dal fondo ma punta in alto. Altissimo. «E anche competitivo - commenta Giovanazzi -. Sul serio. La rosa c'è, di sicuro quest'anno non saremo noi la squadra materasso». E la storia potrebbe finire qui: una squadra destinata a morire risorge attorno all'amore per la maglia ed il fascino di un progetto ardito. «La rosa che abbiamo messo insieme - spiega mister «Giuli» - in una società "normale" costerebbe, tra rimborsi spesa e ingaggi, dai 50 ai 60mila euro». Quanto prenderanno i giocatori del Rovereto? «L'accordo è semplice: niente. Poi, qualsiasi cifra dovesse restare a fine anno, decideremo se e come dividerla. Comunque, anche un euro a testa sarà un euro in più del pattuito». Ma al di là degli ingaggi, un campionato in promozione costa. A dare un'idea delle cifre ci pensano Roberto Pedrai, direttore sportivo, e Gianni Malapelle, dirigente addetto alla prima squadra. Due veterani del calcio gestionale, anche loro a giugno sul punto di mollare, e oggi entusiasti come ragazzini. «Materiali, trasferte, visite mediche, eccetera. Servono circa 70mila euro. Oltre all'iscrizione al campionato». All'iscrizione, 7mila euro, ci pensa Zandonai. Resta da pagare tutto il resto.
E qui inizia la seconda parte della storia. Una parte che ha per protagonista la città stessa. Una città che capisce che deve darsi da fare in prima persona se vuole che il Rovereto arrivi nel 2018 a spegnere 100 candeline. Una città cui basta sentire a grandi linee quanto messo in campo dai ragazzi per sentirsi già un po' parte del progetto di questo Rovereto «cooperativo». O «a km zero», in riferimento alla provenienza della maggior parte degli atleti. L'entusiasmo supera subito lo spogliatoio. In una città che da troppi anni guarda con nostalgia ad un passato in cui al Quercia o al Palazzetto ci si ritrovava in centinaia per gridare agli ospiti che «Rovereto è qui», basta poco per partire. Subito si fa chiara un'idea: «Dobbiamo dare ai ragazzi la possibilità di concentrarsi sugli allenamenti, sulle partite. Togliergli il peso del gestionale». Detto, fatto. Attorno al progetto sportivo si compatta un gruppo di roveretani che si accolla la gestione finanziaria, promozionale, tecnica. Enrico Peroni, Fabio Degasperi, Federico Manica il gruppo di partenza. Si apre un conto corrente dedicato alle esigenze della squadra, si buttano giù idee per la campagna promozionale, si contattano i vecchi sponsor, se ne cercano di nuovi. La risposta va oltre le previsioni. Dopo tanti anni negativi, anche le vecchie tifoserie tornano a sperare. I due gruppi storici, quelli che fanno capo a Marino Dossi del Bar Teatro e Ivano Petrolli del Rovereto Calcio Club si dicono pronti a partecipare. La Oxeego, marchio roveretano doc, diventa sponsor tecnico. «M3work» accetta di occuparsi gratuitamente della gestione della comunicazione «social network». La voce gira, se ne parla sempre più. E si fa avanti l'idea più rivoluzionaria di tutte: autofinanziarsi con il «terzo tempo». Puntare insomma sulla dimensione sociale pre e post-partita tipica, ad esempio, del mondo dello sport americano. Prima e dopo la partita e durante l'intervallo concerti, musica, spettacoli, vendita di «birrette e panini», merchandising. Teatro di tutto, lo stesso stadio Quercia. I primi responsi sono positivi. E anche qui, abbracciano la Rovereto di un tempo e quella più recente: i «Red Solution» sono pronti a esibirsi gratis, allo stesso modo alcuni dj. Associazioni, gruppi, esercizi commerciali. La lista di quelli che «vogliono dare una mano» si ingrossa giorno dopo giorno. Banco di prova, la prima di campionato in casa. Il calendario è ancora da definire, si parla dell'8 o del 15 settembre. Staremo e a vedere.
Un sogno? Forse. Avrà successo? Forse. Gli ostacoli, interni ed esterni, burocratici e finanziari, sportivi e legali, saranno enormi. A cominciare, ovviamente, dalla gestione del Quercia. Polemiche assicurate. I gravi problemi generali della società, poi, restano tutti. Però sugli spalti del Quercia la gente un po' è già tornata. E questo qualcosa significherà pure, no?