Da Predazzo al Polo Nord «La mia vita è tra gli Inuit»
È tornato nella sua Predazzo per qualche settimana, a rivedere gli amici, lavorare ad un documentario e aspettare che lassù nel Grande Nord, dove ha deciso di trasferirsi in via definitiva, si consumi parte della lunga notte artica. Moreno Bartoletti , 32 anni, nato a Cesena, ma per oltre sette anni residente in val di Fiemme dove faceva il carabiniere, ormai ha un sogno nel cuore e per realizzarlo, si è congedato dall'Arma e ha traslocato a Tasiilaq, sulla costa est della Groenlandia
È tornato nella sua Predazzo per qualche settimana, a rivedere gli amici, lavorare ad un documentario (che sta realizzando con il fiemmese Graziano Bosin) e aspettare che lassù nel Grande Nord, dove ha deciso di trasferirsi in via definitiva, si consumi parte della lunga notte artica. Moreno Bartoletti , 32 anni, nato a Cesena, ma per oltre sette anni residente in val di Fiemme dove faceva il carabiniere, ormai ha un sogno nel cuore e per realizzarlo, a maggio dell'anno scorso, si è congedato dall'Arma e ha traslocato a Tasiilaq, sulla costa est della Groenlandia, un pugno di case a picco sui fiordi, alle spalle uno dei più sterminati ghiacciai del mondo. Nel piccolo bar di Predazzo, mentre gli amici continuano a fermarsi per salutarlo, Moreno si sente a suo agio, in fondo anche venire in Trentino era stata una scelta ponderata, per stare più vicino alle montagne.
Come è nata la sua passione per il Nord?
«L'ho sempre avuta: da piccolo sognavo l'Alaska, il Polo Nord, la Groenlandia, leggevo tutto quello che trovavo sull'argomento. Poi nel 2011, proprio a Canazei, ho conosciuto lo scrittore Franco Brevini e, attraverso di lui, ho fatto amicizia con Robert Peroni, l'esploratore di Bolzano che da oltre trent'anni vive in Groenlandia. Ci siamo visti in val di Tires e abbiamo concordato un primo viaggio nel marzo 2012, undici giorni che mi hanno cambiato la vita. A quel punto ho capito qual era la mia strada e nel maggio del 2013, dopo averci pensato a lungo, mi sono congedato e sono partito: sono stato su sei mesi, e ora la mia vita è tra i ghiacci».
Di cosa si occupa?
«Lavoro al campo base della Casa Rossa, una struttura turistica voluta da Robert ( la bella storia di questo posto è narrata nel libro da poco uscito per SK "Dove il vento grida più forte": le foto sono di Moreno ndr) per aiutare gli Inuit, gli eschimesi. Fornisco l'attrezzatura, i viveri, le barche, alle squadre che arrivano da tutto il mondo: sono giovani che amano l'avventura, ma anche famiglie con bambini, e vengono dal Giappone, Nuova Zelanda, Russia, Islanda, e anche dall'Italia. Conosco le lingue, e ora sto imparando anche il groenlandese dell'est. Per arrivarci bisogna volare prima in Islanda e poi in Groenlandia, e poi ancora fare 40 minuti di barca, o dieci d'elicottero».
Com'è la sua vita lassù?
«Sono stato adottato da una famiglia Inuit. Anche la mia ragazza è eschimese. È una vita durissima la loro, da secoli riescono a sopravvivere alle condizioni più estreme, ai terribili venti che soffiano dal nord e che abbassano la temperatura a meno settanta gradi di freddo percepito. Ma lo fanno sempre senza lamentarsi, anzi sorridendo: i bambini non piangono mai. Non ci sono orari, mangiano quando hanno fame, dormono quando hanno sonno, non ci si offende, non si litiga, non sanno cos'è l'invidia, anzi non ha proprio senso. C'è molta solidarietà e per loro sono due le cose importanti: sopravvivere e la famiglia. Erano soprattutto cacciatori ma adesso, a causa dei divieti voluti dalle associazioni ambientaliste, non hanno più lavoro e allora fanno la fame, letteralmente. All'inizio non capivo, vedevo la mia ragazza un po' più mogia del solito: solo dopo ho capito che era perché erano alcuni giorni che non mangiava niente».
Ma non ci sono i supermercati?
«Sì, ma sono costosissimi e le foche che gli Inuit cacciavano, oltre che la sopravvivenza, garantivano quel minimo di entrate necessarie. Inoltre loro non sono abituati a tutti i conservanti che noi usiamo ed il cibo venduto nei supermercati, oltre che venduto a costi proibitivi, è davvero di pessima qualità. Il governo danese dà scuole e sussidi, ma una volta "educati" gli Inuit devono andarsene a cercare lavoro da qualche altra parte, e per loro vivere in città è la morte. Anche i sussidi non sono una soluzione perché non sostituiscono la dignità di un lavoro vero, un cacciatore era un uomo rispettato da tutti, soprattutto da se stesso. Non è un caso che siano aumentati, e tanto, i suicidi e l'alcolismo. La cultura Inuit sta morendo: lo sciamanesimo, il mondo della caccia, i clan, tutto se ne sta andando».
Come funziona la Casa Rossa?
«Sono in tanti a contare sulla sua presenza. E Robert ha dedicato la sua vita a loro. Faccio un esempio: l'estate scorsa sono arrivate due ragazze dalla Lettonia con un programma Erasmus, per lavorare gratis, ma dopo un paio di settimane ho visto che Robert le aveva messe a riposo. La spiegazione era semplice: anche se avevano buona volontà, rubavano il lavoro a chi ne aveva bisogno e Robert ha preferito pagare la gente del posto, e rimetterci, piuttosto che farsi aiutare dalle ragazze. Quest'estate ci sono stati più turisti del previsto, e Robert, per affittare la sua stanza, è andato a dormire in una baracca messa così male che perfino gli eschimesi ne erano rimasti sconvolti».
Funziona il turismo?
«Dipende. Sono stati costruiti enormi alberghi, gestiti da danesi, e nei pacchetti viene inserito il tour in Groenlandia. Ma alla gente del posto non viene nessun vantaggio, e le persone che arrivano non riescono a capire niente di questo luogo meraviglioso; anzi, in certi hotel si vieta persino l'ingresso agli Inuit».
L'ha mai vista l'aurora boreale?"
«Certo, molto spesso. Una sera che siamo usciti con la mia ragazza, la luce era così intensa che ci ha fatto quasi paura. Abbiamo fatto il gesto di ripararci perché ci sembrava che il cielo ci cadesse addosso: incredibile, entusiasmante e commovente. In una parola, meraviglioso!»