Stava, 32 anni fa il disastro: oggi il ricordo delle 268 vittime
Il 19 luglio 1985, un giorno da non dimenticare
Ritorna in primo piano la tragedia di Stava del 19 luglio 1985, quando una terrificante valanga di acqua e fango, in seguito al crollo dei due bacini di Prestavel, spazzò via poco dopo mezzogiorno l’intera valle del rio Stava, portando con sé 268 vittime.
E sono iniziati ieri gli appuntamenti del 32° anniversario di quella tragica giornata, ancora ben presente nella memoria di Tesero e di tutta la valle di Fiemme. Ieri pomeriggio alle 17.30, presso il Centro di documentazione della Fondazione Stava 1985, si è svolta l’assemblea dell’associazione culturale «19 luglio val di Stava», guidata dal presidente Graziano Lucchi, con in primo piano quello che, come conferma lo stesso Lucchi, è diventato il problema principale, vale a dire la necessità di puntare a un importante ricambio generazionale, in grado di garantire il futuro.
«Ricordo le parole della sindaca Elena Ceschini in occasione delle celebrazioni per il Trentesimo della tragedia - dice il presidente - quando ribadiva la necessità che siano i giovani a farsi carico della memoria. Noi lavoriamo in questa direzione, convinti che altrimenti, tra alcuni anni, la Fondazione potrebbe chiudere e tutto finire nel dimenticatoio. E comunque sono fiducioso».
Ieri sera poi, alle ore 20.30, in località «Pesa» si è svolta la Via Crucis, che rinnova il ricorso e il dolore per quella giornata di luglio, con arrivo presso la chiesetta della Palanca.
Oggi, giorno dell’anniversario, alle 17.30, nella stessa chiesetta ci sarà una cerimonia in memoria delle vittime del disastro del Vajont, con la deposizione di un mazzo di fiori presso il monumento dono delle popolazioni di quella zona, per iniziativa congiunta degli alpini di Tesero e di Longarone, mentre alle 18.30, nel cimitero monumentale della chiesa di San Leonardo, seguirà la messa di suffragio delle vittime di Stava.
Infine, venerdì 21 luglio, alle ore 21, nella chiesa parrocchiale di S. Eliseo, è previsto un concerto dell’ensemble «Canticum Novum» di Moena.
Quale clima si respira, dopo oltre tre decenni da quel tragico evento?
«La sensibilità c’è, anche se naturalmente occorre continuare a coltivarla. Sono sempre numerose anche le visite al nostro Centro di documentazione, soprattutto da parte delle scolaresche, e io personalmente ricevo molti inviti a tenere incontri e conferenze anche ai massimi livelli. Bisogna comunque lavorare molto per riuscire a raccontare tutto quello che è accaduto e che impone di analizzare aspetti molteplici e contenuti diversi per capire bene determinate dinamiche».
Recentemente lei ha evidenziato qualche problema di carattere economico nella gestione della Fondazione. Come stanno le cose? «Come è noto, la Fondazione vive delle rendite del patrimonio di cui dispone e che è piuttosto modesto, oltre agli introiti derivanti dalle donazioni. Mi auguro che gli incassi tornino a salire».