Damiano Filosi: il caseificio dopo la scuola di casaro e la Svizzera
Che le strade per raggiungere il paradiso siano impervie si sa. Non fa eccezione quella per malga Lavanech, ex comune di Bersone, oggi Valdaone. In compenso gli abeti secolari rallegrano l’occhio e lo spirito. E poi, quando arrivi ai 1.779 metri del pascolo, si rallegrano pure stomaco e gola, con il formaggio di Damiano.
Di cognome fa Filosi ed è orgogliosamente di Sevror, frazioncina di Praso di una decina di anime, a sua volta frazione di Valdaone. A 14 anni andò per la prima volta in malga, E lì scoprì la vocazione. Scuola di casaro in provincia di Cuneo, quindi in Svizzera, dove ha gestito per alcuni anni da solo una malga e ha pure messo via quattro soldi che gli sono serviti per ristrutturare la casa del Seicento. «Con l’assiduità quotidiana sul cantiere, manco fosse stato un dipendente dell’impresa», raccontano gli amici. «Sono tornato - sorride Damiano Filosi - perché sono partito con l’idea di tornare, non di stare all’estero».
Ora il caseificio funziona l’inverno, mentre d’estate si va in malga. «Non pensavo - commenta - che ci fosse una domanda di formaggio così alta: va tutto meglio delle aspettative». Dal caseificio alla malga il passo è stato breve. Lavanech va riassegnata: ti interessa?, chiede l’assessore Panelatti a Damiano. L’Amministrazione comunale vuole che questa malga venga monticata da bovini da latte, e Damiano ci prova. E quassù (nonostante la strada lunga e tortuosa) Damiano e Noemi (una stagista di Cunevo, studentessa di San Michele, appassionata pure lei di montagna e malghe) non sono mai soli. Salgono a trovarli (e magari a dare una mano) giovani come loro, che si fermano a mangiare e pure a dormire. E’ un bene? Un male? «Un bene - risponde Damiano - anche se può capitare di far tardi a raccontarsela. Poi, la mattina...». «Eh, la mattina - gli fa eco Noemi - si fatica da alzarsi. Ma siccome ci sono le mungitrici, si può allungare la notte».
Stalla e cascina sono ordinate; il Comune, come accennava Noemi, ha dotato la malga di mungitrice; Damiano per parte sua ha ripulito la casèra, inutilizzata da anni; sugli scaffali del caveau della malga riposano i formaggi in attesa di essere venduti. Il bello è che non riposano tanto.
Stare in malga non è solo far formaggio: ci sono i sentieri da pulire perché qualche pianta caduta non consente il passaggio delle vacche; c’è da tagliare cespugli e arbusti che sporcano il pascolo. C’è da seguire le bestie: le manze nel pascolo alto, le vacche da latte nella parte bassa.
Fatica? «No, perché a differenza di quando ero in Svizzera, questo territorio lo sento mio, e quindi mi viene facile curarlo».
Non ci pensa nemmeno un secondo Damiano: «La mia vita è questa e non la cambierei manco...». Non la cambierà, si può scommettere. Burro e formaggio, anzi, per dirla con le carte di cui l’Amministrazione comunale ha dotato le malghe del suo territorio, Botér de malga e Formài de malga. «Perché dobbiamo caratterizzare i nostri prodotti» avverte Nadia Baldracchi, assessore comunale al turismo. «Il burro - dice Damiano - va via subito, anche perché è un prodotto di eccellenza.
Abbiamo qui il frigo, che va con i pannelli fotovoltaici, ma al primo che scende in paese glielo do dietro, perché si vende subito». Alla faccia della società asettica, che detesta i colori e gli odori non neutri. E senza dubbio il giallo e l’odore forte del burro di montagna non sono neutri.