Una cena di solidarietà per salutare i profughi
Una serata a metà tra amarezza e sorrisi, per chiudere una parentesi di conoscenza, arricchimento reciproco e integrazione con la consapevolezza che l’impegno, nonostante tutto, proseguirà.
I volontari che hanno accolto a San Lorenzo in Banale i cinque profughi ora già trasferiti in altre località trentine hanno voluto incontrarsi ed incontrare i ragazzi in occasione di una cena, lo scorso 22 gennaio in una delle sale della parrocchia, nello stabile che ospita anche la scuola materna.
«La si potrebbe definire una cena di commiato, anche se c’è stato spazio soprattutto per l’allegria», ha commentato Paolo Baldessari, uno dei coordinatori del gruppo di volontari formatosi spontaneamente nel Banale dopo le proteste e le polemiche sorte all’annuncio dell’arrivo dei profughi a Casa Wilma.
Una serata durante la quale si è ritrovato poco meno di un centinaio di persone, a testimonianza di quanto l’impegno per l’integrazione sia sentito: «Eravamo in 92, belli stipati. Con noi non solo i cinque ragazzi che erano ospiti a San Lorenzo, ma anche altri profughi ospiti ad esempio delle comunità di Santa Croce e di Cares. Il nostro gruppo di volontari era riuscito a coinvolgere persone anche di Stenico e del Bleggio, avevamo creato un bell’insieme, riuscendo a portare avanti anche un progetto educativo: una quindicina di noi impartiva ai ragazzi lezioni di italiano, di storia, di geografia, per permettere loro di calarsi al meglio nel contesto in cui vivono. In tanti si sono impegnati mettendoci del loro in varie forme: chi ha dedicato del tempo, chi ha messo a disposizione strutture, risorse o terreni, per allaestire un orto».
L’addio dei profughi a San Lorenzo non interromperà questa esperienza: «Proseguiremo il nostro impegno nei centri in cui i ragazzi sono stati trasferiti: durante la cena abbiamo raccolto anche dei fondi che utilizzeremo proprio per continuare nel progetto, diciamo così, scolastico: per l’acquisto di materiali e così via. L’addio a San Lorenzo non è un dramma: purtroppo queste persone hanno vissuto sulla loro pelle esperienze ben più gravi. L’importante è proseguire nel lavoro di integrazione».