«Hi here», un aiuto per l'integrazione
L'ha creata una giovane laureata di Mezzocorona, insieme ad una collega, ed è pensata per i richiedenti asilo
Un social network, come Facebook o Twitter, in grado però di mettere in contatto richiedenti asilo e rifugiati sia tra loro, che con la comunità ospitante. È questa l’idea da cui è partita un’architetta ventiseienne, Caterina Pedò di Mezzocorona, che ha dato vita ad «Hi Here» assieme alla sua collega Martina Manara. Un’applicazione pensata per i migranti, che combina l’interazione con integrazione e permette di reperire informazioni sul posto in cui ci si arriva, ma non solo.
Dopo averla scaricata sul proprio smartphone, l’utente può registrarsi, inserendo alcuni dati personali e tracciando su una mappa il percorso fatto dal suo luogo d’origine. In questo modo, oltre a fornire materiale utile a tutto il sistema accoglienza, ciascuno potrà ritrovare amici e conoscenti, persi durante il viaggio e magari ospitati solo qualche chilometro più in là da dove si è stati trasferiti. E ancora, ogni migrante potrà interagire con le autorità, i cittadini e le Ong locali, che pubblicheranno ogni volta sulla bacheca di «Hi Here» le proprie offerte di assistenza. Si potrà anche approfittare dei tutorial, in cinque lingue diverse, sulle procedure per ottenere il diritto d’asilo in Italia e sulle diverse strutture e sistemi d’accoglienza (Cia, Cara, Sprar), che potranno essere monitorate con voti, commenti e foto sui servizi a loro dedicati.
Queste sono solo alcune delle potenzialità di questo progetto, che sembra avere tutte le carte in regola per funzionare, ma che necessita di 20 mila euro per partire ed essere messo in pratica. Per questo Caterina, con la sua compagna Martina, ha dato vita ad una campagna di crowdfunding su Indiegogo, per raccogliere tutti i fondi necessari entro fine maggio.
«Tutto è partito dalla ricerca sul campo di Martina sui sistemi italiani di ricezione dei rifugiati (Cara e Sprar), a cui ho partecipato la scorsa estate andando per due mesi a Foggia con lei - spiega Caterina -. Qui abbiamo intervistato un centinaio di richiedenti asilo, ospitati in due strutture diverse, e ci siamo subito rese conto di quali erano i loro bisogni più urgenti». Come ad esempio la necessità di dotarsi subito di un cellulare, di connettersi ad internet e avvisare tutti i propri cari di essere arrivati sani e salvi.
Da qui è nata l’idea di «Hi Here», dalle osservazioni direttamente in loco delle due ragazze, che si sono trovate a riscontrare gli stessi problemi di isolamento, mancanza di informazioni e difficoltà a farsi sentire, anche in realtà come gli Sprar nati proprio con il proposito di promuovere l’integrazione, attraverso la collocazione dei rifugiati in appartamenti. «Tant’è che molti - continua la ragazza -, pur di non stare da soli preferivano rimanere nei Cara. Questi grandi campi in cui vengono ospitate dalle 30 persone in su, in situazioni fisiche estremamente peggiori».
Quasi tutti i ragazzi intervistati inoltre non avevano accesso a materiale sul diritto d’asilo, per via delle barriere linguistiche e della complessità del sistema burocratico: «Molti di loro ignorano lo stato della loro richiesta, decisiva per la loro sorte» aggiunge la ragazza che, dopo la maturità scientifica al Galilei di Trento, ha studiato all’accademia di Architettura di Mendrisio. Per un anno ha lavorato a Milano al museo Fondazione Prada e ha fondato da poco, assieme ad altri due soci, uno studio, il Mmp Lab, con un approccio innovativo che mischia ricerca, design e azione. «Ci hanno formato per far vivere bene le persone, noi vogliamo farlo puntando a creare una rete di contatto e supporto che deve coinvolgere tutti, compresi gli italiani. Nessuno dovrà più sentirsi invisibile».