Gli ammanchi al Comune di Sover terza sentenza della Corte dei Conti per la ex contabile municipale
Terza sentenza della Corte dei conti nei confronti di B.F., ex responsabile finanziaria del Comune di Sover. Il 4 luglio, i magistrati contabili hanno condannato la funzionaria a restituire al Comune 4.869,36 euro e a pagare 224 euro di spese di giudizio. La somma si aggiunge ai 26.493 euro e ai 1.995 euro delle precedenti due condanne (rispettivamente di gennaio e giugno 2018), la prima relativa agli ammanchi registrati nelle casse comunali tra il 2012 e il 2015 e la seconda all’omesso versamento nelle stesse casse di quote relative a due iniziative promosse dal Comune nel 2014.
La sentenza appena depositata si riferisce invece a un terzo filone della vicenda: secondo l’accusa, approfittando della sua posizione di responsabile del servizio finanziario, B.F. si era indebitamente liquidata poste di stipendio non dovute, procurando un danno di 5.869,36 euro all’erario comunale. A sostegno dell’accusa, i riscontri forniti da una decina di accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza nel periodo in cui i conti del Comune furono passati al setaccio, in seguito alle segnalazioni sugli ammanchi, e i testimoni sentiti sul punto. Per la Corte, «in totale assenza di previa autorizzazione da parte dei competenti organi amministrativi, la condotta della signora B. F. risulta antigiuridica, in quanto posta in essere in palese conflitto di interessi. La stessa convenuta ha dichiarato in udienza di non aver mai chiesto al Comune di corrisponderle gli emolumenti ritenuti spettanti, né ha dedotto detto interesse in un giudizio innanzi al Giudice del lavoro, al fine di ottenere l’accertamento del preteso obbligo dell’amministrazione, preferendo farsi “ragione” da sola, con una silenziosa ed arbitraria autoliquidazione».
Le argomentazioni dell’avvocato Maria Cristina Osele, difensore della funzionaria, non hanno fatto breccia: la legale ha evidenziato come la dipendente avesse sopportato ingenti carichi di lavoro e un notevole stress, dovendo reggere due Uffici Tributi a seguito della sottoscrizione, nel 2012, di una convenzione tra Comuni «per la gestione in forma associata del servizio finanziario», versando in un precario stato di salute con alterazione dello stato di concentrazione. La difesa ha aggiunto che B.F. era stata indotta dai segretari comunali dei Comuni interessati ad accettare il doppio incarico sulla base della promessa dell’attribuzione di un incremento dell’indennità direttiva di cui già godeva e che in tale contesto si era convinta di aver diritto alla corresponsione di tali indennità, disponendo la liquidazione nella propria busta paga del mese di settembre 2014 di 3.000 euro lordi. Inoltre, secondo la difesa, siccome B.F. non si era mai attribuita l’aumento per la voce «Maturato economico» di 55,18 euro mensili lordi per 13 mensilità spettante per il periodo 2006-2015, resasi conto di ciò aveva disposto il pagamento a proprio favore degli importi non prescritti, inserendo nella busta paga di settembre 2015 717,34 euro e nella busta paga del mese di ottobre 2015 altri 2.152,02 euro quali «Arretrati» riferiti agli anni 2011-2013. Per l’avvocato, se in ottobre il giudice penale ha assolto B.F. da tutte le ipotesi di peculato condannandola solo per falso, anche la Corte dei Conti avrebbe dovuto assolverla per mancanza di dolo. Per i magistrati contabili, però, l’esclusione del dolo del reato di peculato, non pone in discussione la sussistenza del dolo contabile o comunque di colpa grave. Di qui la condanna «essendo certa la sussistenza di un nesso causale fra la condotta e il verificarsi del danno, che si palesa quale diretta conseguenza dell’attività posta in essere in grave violazione degli obblighi di servizio»