Nuovo Conad, già tagliati 15 dipendenti, orari ridotti
«Insomma, diciamo che siamo partiti con il freno a mano tirato». Così il presidente di Dao Ivan Odorizzi nel commentare i primi due mesi di attività del nuovo supermercato nel complesso Urban City, il primo a marchio Conad della città della Quercia. La direzione dell’esercizio ha deciso di ridurre l’orario di apertura anticipando la chiusura dalle 21 alle 20, e di non prorogare i contratti di lavoro di 15 dipendenti (50 le persone impiegate nel punto vendita), in forza alla Conad con contratto Adecco. «Nessuna crisi - mette in chiaro Odorizzi -.
È prassi comune, quando si apre un punto vendita della grande distribuzione, fare una stima di quello che sarà il bisogno di forza lavoro. In questo caso, c’era da considerare che aprivamo nel periodo di Natale, e dovevamo anche far fronte all’effetto “novità”. Adesso, stabilizzatosi il contesto, abbiamo ritenuto di non confermare 15 contratti. Nulla esclude però che in futuro, quando magari il complesso Urban City sarà completato ed interamente in funzione, anche con i negozi al primo piano, si possa tornare ad assumere».
Il rallentamento dell’attività del cantiere dell’ex stazione autocorriere, secondo il numero uno di Dao Conad, ha infatti contribuito a rendere l’avvio dell’attività del supermercato non esaltante. «Adesso aspettiamo che i lavori finiscano».
Al di là del caso specifico, l’improvvisa «scomparsa» di 15 dipendenti su un totale di 50 resta un segnale che preoccupa non poco le organizzazioni sindacali. «Nel settore del commercio - spiega Walter Largher , segretario provinciale Uil Tucs - continuamo ad assistere a contratti non rinnovati e, se mettessimo in fila tutti i lavoratori che perdono il lavoro è come se ogni anno sparisse una fabbrica. Si tratta di una crisi che coinvolge numeri piccoli ma costanti e che richiederebbe sicuramente più attenzione, a tutti i livelli».
Nel caso del Conad di corso Rosmini si assiste ad un tipo di programmazione largamente utilizzata nel mondo del commercio: nel momento dell’apertura, che tra l’altro è coincisa con le feste natalizie, e con l’intento di offrire un’assistenza al cliente più puntuale, si è puntato all’assunzione di una consistente forza lavoro. Al momento del calo delle vendite e, in un momento di assestamento, il numero di dipendenti è stato ridotto di circa un terzo. Dal punto di vista formale non si tratta di licenziamenti nè di mancato rinnovo di contratti a termine, ma semplicemente dell’uso di lavoro interinale. Questi lavoratori non erano quindi dipendenti del Conad ma dell’agenzia che si occupa del loro collocamento: il loro costo totale alla fine risulta più alto di un 20, 30 %, ma la parola d’ordine è flessibilità. «In questi anni ho visto - aggiunge Largher - assumere persone anche per mezza giornata».
«Fino al 2011 - riprende il sindacalista - il terziario ed il commercio erano in grado di assorbire la manodopera che proveniva da altri settori: adesso non è più così ed i grandi gruppi tendono a comportarsi come una grande fabbrica: per ottimizzare i costi assumono uno zoccolo duro di persone a tempo indeterminato, e poi ricorrono sempre più a lavoratori interinali o con a contratto a termine per soddisfare i flussi di lavoro». E aggiunge: «Il problema riguarda più in generale il discorso dello sviluppo commerciale: pochi grandi gruppi si fanno la guerra spingendo al massimo su aperture estese sia per durata di giorno lavorativo che per copertura di tutte le festività, e le piccole imprese ne restano vittime, non hanno alcuna possibilità di competere».
A puntare il dito contro la liberalizzazione del commercio anche Alessandro Stella della Cgil: «L’apertura indiscriminata dei negozi ha portato a più precariato nel mondo del lavoro. Tutti i grandi gruppi, Lidl, Superstore, IperOrvea, i vari Sait, Conad e tanti altri, hanno puntato su una grandissima parte di forza lavoro con contratto a termine, dipendenti alle prese con orari assurdi ed un tipo di offerta disomogenea: da tempo ci stiamo interrogando su quali siano le linee di indirizzo per tutelare anche questi lavoratori».
Fino a qualche anno fa l’elevato costo del terreno e una rigida griglia di orari avevano scoraggiato l’arrivo in Trentino delle grandi catene: ora la «guerra» commerciale è cominciata.