Violenza sulla figlia 13enne Condannato a 6 anni e 4 mesi
È arrivato in tribunale accompagnato dalla polizia penitenziaria. Perché dal 21 luglio scorso è in carcere, in custodia cautelare. Dal palazzo di giustizia è uscito con una condanna di quelle pesanti: 6 anni e 4 mesi con rito abbreviato. Perché l’accusa era di quelle pesanti. Di più, era di quelle nemmeno concepibili.
Violenza sessuale ai danni della propria figlia di tredici anni. È finita così, in primo grado, la vicenda di un keniano di 38 anni residente nel basso Trentino. Con una pena detentiva, con la condanna al pagamento di una provvisionale nei confronti della figlia e della moglie (ma nessuno si fa illusioni che verrà pagata) e soprattutto con le pene accessorie che in questi casi aiutano a tutelare la vittima: venir meno della podestà genitoriale e divieto di avvicinarsi alla sua famiglia.
La vicenda è una di quelle brutte da raccontare. Ma che accadono, evidentemente, anche in quest’epoca. A raccontarla, all’epoca, fu la stessa ragazzina, che ebbe il coraggio e l’intelligenza di fare ciò che era giusto: chiedere aiuto immediatamente, alle persone giuste. Secondo la ricostruzione della 13enne - ritenuta credibile dagli inquirenti - tutto sarebbe accaduto il 21 luglio scorso.
La famiglia, originaria del Kenia, abita nel basso Trentino. Una famiglia come tante: lui, lei, dei figli, nessuna difficoltà di relazione, almeno nessuna difficoltà emersa fino a quel momento. Quel giorno la donna andò a lavorare la mattina presto. E l’uomo la accompagnò alla fermata dell’autobus. Poi tornò a casa, dove gli altri figli stavano dormendo. Secondo la ragazzina fu allora che accadde: l’uomo si presentò nel suo letto, la svegliò, la minacciò con un coltello, avvicinandoglielo alla gola. E la obbligò a subire atti di natura sessuale più che espliciti. Poi cercò pure - secondo la tesi d’accusa - di eliminare eventuali prove: quando ebbe finito, disse alla figlia di andare a lavarsi e soprattutto di lavare i vestiti che indossava. Lei lo fece, ma non bastò a cancellare nulla.
La 13enne, a quel punto, prese una decisione: ne avrebbe parlato con la madre. Ma non in casa -alla presenza di lui - piuttosto in un luogo neutro. Per questo nel primo pomeriggio andò a prendere la mamma alla fermata dell’autobus. E lì le raccontò una storia che nessuna madre e nessuna moglie vorrebbe sentire mai. Ma gliela raccontò, perché si fidava. E la donna, come prima cosa, si preoccupò di metterla in sicurezza: la fece andare a casa della sorella, così assicurandosi che non corresse pericoli. Poi andò a casa, e affrontò il marito, chiedendogli spiegazioni. Un confronto che deve averla convinta della verità delle parole di sua figlia, perché quel giorno stesso la accompagnò a sporgere querela.
A quel punto iniziò l’iter che sempre si segue in questi casi. Una visita medica, un’analisi dei vestiti che la ragazzina indossava al momento della presunta violenza, e soprattutto un incidente probatorio in cui lei ha raccontato, davanti al giudice e agli avvocati, la sua versione dei fatti. È bastato questo a far scattare la misura cautelare nei confronti di lui, ancora quest’estate. Poi sono arrivati i risultati delle analisi sui vestiti, che indicavano chiaramente la presenza di liquido biologico del papà. E a quel punto la procura ha chiesto il giudizio.
Ieri, davanti al giudice Monica Izzo, si è tenuto il processo, per violenza sessuale pluriaggravata. Il legale dell’uomo ha cercato di limitare i danni, avanzando dubbi sulla presenza reale del coltello, posto che la ragazzina, pur senza dolo, potrebbe essersi confusa, dopo aver parlato con mamma e zia. Un’ipotesi questa che il giudice non ha ritenuto sussistere. E l’ha condannato: 6 anni e 4 mesi, a cui appunto si aggiunge il divieto di avvicinarsi alla figlia. Quanto alla parte civile, la provvisionale è di 50 mila euro per la ragazzina e 5 mila per la madre.